Scrittura creativa

Pausa racconto: Mantide, prima parte

8 Settembre 2016
#PausaRacconto: Mantide, prima parte

Torna la rubrichetta Pausa racconto e, stimolata dalla lettura di On Writing, ho ripreso gli allenamenti nel campo della scrittura creativa. Dopo quasi un anno di stasi.

Il momento della creazione della prima bozza è stato esaltante perché mi sono sentita completamente assorbita dalla storia che sedimentava da tempo nella mia testa. Un po’ più difficoltoso è stato il processo di revisione e, anche se non sono ancora soddisfatta del risultato finale, penso sia giunto il momento di lasciar andare su questo blog la versione più accettabile. Non credo sia quella definitiva ma starà a te, lettore, consigliarmi dove e come migliorare.

Bene, ho cincischiato abbastanza, ecco a te la prima parte di Mantide.

Pausa Racconto: Mantide

Ted attendeva al posto del guidatore di una familiare verde oliva. Le valigie erano pronte e stipate nel bagagliaio. Mancava solo Sara, la sua sposina.

Si guardò attraverso lo specchietto retrovisore.

Come siamo arrivati a questo punto? – si domandò.

Lo sguardo dell’uomo si spostò sullo specchietto laterale. Gli apparve un volto da bravo ragazzo. Lineamenti comuni, semplici. L’espressione di chi, la mattina, si guarda allo specchio senza provare alcun dubbio sulla sua vera natura. Un’espressione che non segnala sensi di colpa per quello che è o per quello che fa.

Eppure, non sono cattivo… – si disse guardandosi il volto. – Se non si fosse spostata la mia mano non sarebbe ridotta così male, è colpa sua. Se non si fosse spostata… –

Dovette reprimere l’impulso di salire in casa, in quell’appartamento ricavato da un guscio di mattoni rossi e dalle anonime finestre con gli infissi grigi. Sara era ancora lassù, a prendere le ultime cose da portare alla baita.

Resistette, anche se la mente tornò al ricordo della prima volta che l’aveva picchiata.

Se l’é cercata! – esclamò battendo la mano sul volante, in un gesto di stizza – Era la mia festa, era il mio compleanno, erano i miei amici. E lei a far la civetta pensando che non me ne sarei accorto. Stupida stronza! –

Non gli era mai capitato di sentirsi messo in secondo piano da una donna. Lui sapeva stare al centro dell’attenzione. Era l’anima della festa e le sue spacconate gli venivano perdonate perché, come gli ripeteva sua madre, era così a modo, così carino. Ci sapeva fare anche con le mamme delle altre. Una moina qui, una galanteria là e aveva il campo libero per portare la preziosa figlioletta di turno alla festa del bar più grezzo della città per concludere con un “incontro romantico” in auto, pochi minuti prima del coprifuoco genitoriale.

Si era guadagnato una discreta fama di donnaiolo, prima di sposare Sara. La dolce, piccola e timida Sara.

Se ne era innamorato subito. Forse perché era vera, spontanea. Non aveva ombra di malizia e la sua era una famiglia di gente semplice, colta ma non snob. In quel periodo poi, Ted aveva voglia di mettere la testa a posto, di giocare alla famigliola felice. Sara sembrava la candidata ideale per quel progetto a lungo termine e se poi non fosse tutto filato liscio tra loro, c’erano pur sempre le avventurette extraconiugali. Un uomo dovrà pure sfogarsi in qualche modo.

Solo che poi era successa una cosa strana. Quando lui volle fare una festa per il suo trentesimo compleanno, Sara si preoccupò di organizzarla al meglio. Si muoveva con grazia ed eleganza fra gli invitati e sapeva ravvivare con un sorriso una conversazione, là dove languiva. In più di un’occasione l’aveva sorpresa concedere uno sguardo civettuolo ad alcuni dei suoi compagni di scorribande da scapoli. Gelosia. O invidia perché sembrava più lei la protagonista e non lui? O presa di coscienza del fatto che se si fossero lasciati lei non avrebbe avuto problemi a rifarsi una vita mentre lui sarebbe stato perso?

Alla fine la festa si era conclusa con il festeggiato un po’ alticcio e in preda a paure e insicurezze che gli avvelenavano l’animo. Quando Sara gli si avvicinò, visibilmente eccitata e soddisfatta per la riuscita della serata, lui la prese a schiaffi.

#PausaRacconto: Mantide, prima parte (immagine via Pixabay)

immagine via Pixabay

L’espressione della moglie fu sostituita dallo spavento e le apparve negli occhi, per la prima volta, la domanda:

–  Perché a me? –

Una domanda da vittima che lo fece imbestialire perché le rimase appiccicata al volto fin da quella maledetta prima volta.

Non poteva sfiorarla che si irrigidiva, le pupille si dilatavano, pareva entrasse in apnea. All’inizio provò ad acquietarla promettendole che non l’avrebbe colpita più, ma le parole rassicuranti non funzionavano.

–  Vittimismo e scetticismo, pessima abbinata – bofonchiò Ted.

Non si ricordava il motivo per cui l’aveva picchiata la seconda volta, ma era stato qualcosa di più di uno schiaffo. Sentiva la voglia di spaccarle la faccia, di sfogare le sue frustrazioni su un oggetto di sua proprietà. Solo che in quel caso il pugno raggiunse la parete.

Sara aveva cercato di evitarlo. Si era spostata. A suo modo si era difesa e ci mancò poco che lui si fratturasse la mano, per la forza che aveva messo e per l’impatto con il cemento. Il dolore fu lancinante, sufficiente per placare la sua furia e indurlo a pensare, a domandarsi come mai erano arrivati a quel punto.

Non aveva mai avuto un istinto violento nei confronti delle donne. Non ne aveva mai sentito il bisogno. Erano tutte facilmente controllabili, la mamma lo aveva sempre accudito e coccolato e non gli aveva mai fatto mancare niente.

–  Questo e altro per il mio principino! – ripeteva spesso.

Ma Sara non era la mamma. Sara sapeva più cose, pensava. Ogni tanto esprimeva il suo parere. Non voleva perderla, sentiva che era preziosa, una donna ideale ma qualcosa, in lei, gli sfuggiva e non riusciva a metterci le mani per manipolarlo a suo favore.

–  Forse dovremmo cambiare un po’ aria. Stare da soli, ricominciare. Tabula rasa. – pensò.

E così era nata l’idea del fine settimana romantico in una baita in mezzo alla natura, con il fiume che costeggiava il portico e il silenzio sottolineato dal frusciare delle fronde degli alberi. Sarebbe stata una seconda luna di miele. Una seconda opportunità per conoscersi.

–  Sì, può funzionare! – si convinse Ted – Sto facendo la cosa giusta. Ma quanto ci mette a scendere? – prese il telefono e la chiamò.

Sara se ne stava con la borsa in mano, pronta per partire. Era rimasta impalata di fronte alla crepa sul muro. La conseguenza del pugno di Ted. Se l’avesse raggiunta l’avrebbe ammazzata, ne era certa.

Non voleva la seconda luna di miele. Voleva essere libera, voleva che qualcuno sentisse le sue urla e che non facesse finta di niente come tutti gli altri condomini. Tutte persone anziane, di quella mentalità che giustificava il marito violento perché questa era la regola non scritta dei rapporti coniugali. Divorzio? Non contemplabile. Una donna divorziata è una poco di buono. Se le prende, si vede che non è una buona moglie.

–  In che situazione mi sono cacciata? – si domandò – Quest’idea di una seconda luna di miele è una cazzata. Non ne uscirò viva. –

Lo squillo del telefono la fece sussultare. Era lui.

–  Sara, hai preso tutto? Scendi dai, si sta già facendo tardi. Sarebbe meglio raggiungere la baita che abbiamo prenotato prima che faccia buio… –

Se ci fosse stata una porta sul retro come nelle casette indipendenti, lei l’avrebbe aperta. Avrebbe voluto scappare.

–  Tutte scuse, sono una vigliacca. Non saprei dove andare – pensò – Sì, scusa, sto scendendo… – si risolse a dire.

Cosa fare se non rispondere e tentare di sopravvivere? Per prima cosa, doveva fingere che stava andando tutto bene, trovare uno spiraglio nella paralisi in cui si trovata, si sentiva.

–  Devo sorridere. Devo essere accomodante. Non lo devo irritare. Perché non sono scappata? Ho paura. – a ogni piano disceso, l’angoscia saliva.

Vuoi sapere come continua? Per la seconda parte clicca qui.

You Might Also Like

2 Comments

Leave a Reply

error: Content is protected !!
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: