A inizio luglio Bruna Athena si è rivolta a Dante narrando i dubbi e le reticenze provate quando si trovò a leggere le sue opere.
La lettera è stata d’ispirazione anche per Antonella Albano la quale, con il cuore in mano e la passione che la contraddistingue in tutto quello che scrive e in quello che legge, ha vergato la sua epistola indirizzata sempre a Dante.
La figura del lettore non è univoca, ogni persona legge e sente la stessa parola in modo diverso ed è da qui che si basa e si sviluppa un giudizio, un gusto estetico. Confrontandosi, non solo tra autore e lettore ma anche tra lettori.
Quindi, mi faccio volentieri da parte e ti lascio la seconda #LetteraAlloScrittore dedicata a quel poeta meraviglioso e complesso che fu Dante Alighieri.
Caro Dante,
scrivendoti ti confesso che non posso immaginarti con l’aria grifagna che la tradizione ti attribuisce.
Ti immagino forse un po’ bassino, ma non trascuro la statura che hai saputo conquistarti da quel tempo in cui scrivevi fino a oggi. In barba al caro Foscolo, che credeva che per l’immortalità si dovesse semplicemente riuscire a essere ricordati per la propria bravura di poeti, io so che la tua esistenza non ha fine, anzi sono piuttosto sicura di incontrarti, a dirla tutta e scusa la presunzione. E so che tu questo aspetto della personalità di una persona lo capisci bene, perché non eri falsamente umile, giusto perché eri imparzialmente sicuro del tuo valore.
Insomma, ti immagino piccolo, appassionato e certo delle cose importanti.
Il mio amore per te è nato quando la professoressa di italiano – che non brillava per la capacità di interessarci – riusciva comunque a prendere tutta la mia attenzione quando parlava di te e leggeva i tuoi versi. L’attrazione superava le circostanze: ero un’adolescente, ti ascoltavo nei banchi scolastici e tu mi appassionavi. Forse è successo perché le storie mi hanno sempre acceso e, al di là del fatto che poi dovevamo studiarti, le tue storie erano super.
La faccenda è continuata al liceo e all’università. Poi ho dovuto insegnarti a scuola quando è venuto il mio momento ed ero contenta, eccome se ero contenta! E tieni conto che io odio abbastanza insegnare! Poi ho sentito parlare di te come nessuno – come nessuno dei barbogi della società dantesca che cavillavano senza fine – da Franco Nembrini e poi da Roberto Benigni, e allora mi si è aperto un mondo, un altro modo di comprenderti come persona che aveva il mio stesso cuore, come un uomo reale che suggeriva un percorso più reale della realtà stessa. Infine ho saltato il fosso: un’estate di diversi anni fa ho mandato a quel paese il resto e mi sono letta la Divina commedia dall’inizio alla fine. E se ti stupisci mi dispiace, carissimo, ma no, non si legge TUTTA la Divina Commedia né a scuola né all’università.
Detto questo, nella mia dichiarazione d’amore devo pur confessarti perché ti amo. Non è solo per certi personaggi che spiccano e rimangono nella memoria, per certe atmosfere che i film fantasy se le sognano, per la capacità meravigliosa di sintetizzare un moto dell’animo o una situazione in pochissime perfette parole – che ti potrei invidiare al massimo anche come aspirante scrittrice – ma soprattutto perché hai avuto gli attributi (sì, intendo quelli) per vivere e indicare a chiunque ti legga un percorso per riappropriarsi del proprio io, per liberarsi dalle zavorre che ci soggiogano a occuparci di cose che ci appesantiscono e basta, per riacquistare la libertà e la dignità, per capire il vero significato di parole come amore e gloria, per confessare che se non possiamo raggiungere la felicità la nostra è una ben povera esistenza, e per confessare che senza Dio la vita non vale la pena di essere vissuta.
Se non esiste una possibilità di andare oltre il limite del proprio desiderio ( l’ardor del desiderio in me finii – Paradiso XXXIII, v. 48) non vale la pena di vivere una vita come formiche in un formicaio, schiacciate dal caso e dalle leggi della sopravvivenza, supine a una ruota che gira indefettibilmente e che non ci considera se non alla stregua di foglie che un bel giorno marciscono e scompaiono.
Il tuo universo ordinato, guidato da libertà e amore è l’unico in cui valga la pena vivere, caro Dante e averlo visto, averlo descritto, averlo glorificato e amato è il merito che nessuno può toglierti, perché tu non sei solo un poeta, ma un uomo coi contro cazzi. E scusa, sai, i neologismi moderni…
Faccio solo un esempio per chiarire meglio cosa intendo: quando tu mi parli di Paolo e Francesca non hai finito lì di parlarmi dell’amore, come molti – troppi – credono. Tu cominci lì, ma poi, nel viaggio reale, graduale, che rispetta i tempi lunghi della comprensione umana, è dopo che declini quello che via via impari: Francesca credeva che l’attrazione fisica fosse amore e non ha voluto, o potuto – dato che l’hanno uccisa – sentire altro, invece si comprende ascoltando Piccarda e Pia e Beatrice e San Bernardo e la Madonna. L’amore è questa cosa qui che, se siamo fortunati e accettiamo di compiere il percorso, impariamo di volta in volta, per sacrifici e ascensioni, con fatica e illuminazioni successive. Cominciamo con la fregola e possiamo finire a fissare negli occhi l’Infinito, se accettiamo il percorso che tu da uomo hai voluto fare e ci è proposto sempre, anche oggi, dal Cristianesimo.
Per questo, amore mio, non ti si può separare dal Cristianesimo, e anche il Medioevo, per quanto ti permei non ti limita – in base al limite della nostra ignoranza (culturale, indotta dai tempi moderni) di esso.
Tu sei l’Ulisse che ha voluto superare le colonne d’Ercole e che è andato oltre il bigottismo, per parlare da uomo ad altri uomini, se solo si hanno le palle per ascoltarti integralmente.
E per questo, insomma, non cesserò mai di amarti.
Antonella
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