Calma. La calma è una qualità che ho sempre ammirato e apprezzato, negli altri.
Con calma intendo la capacità di fare qualsiasi cosa senza farsi prendere dall’ansia delle scadenze da rispettare e senza farsi mettere sotto pressione dagli altri. Insomma, se dovessi usare un inglesismo, la calma di chi ammiro è propria di chi ha fatto del detto Take It Easy un vero e proprio mantra.
Io sono calma, quando lo sono gli altri e, tuttora, mal sopporto la fretta altrui. Questi ultimi mi prosciugano di ogni energia smorzando la mia aspirazione a prendere le cose con maggiore leggerezza. La fretta del far fare mi ispira altro, in particolare l’acidità di stomaco.
Se è vero che disprezziamo negli altri i difetti che ci sono propri è però anche vero che, se ne siamo coscienti, possiamo cercare di assorbire quelle qualità nelle quali ci sentiamo carenti.
La scorsa settimana c’è stata una piccola rimpatriata con alcuni dei miei compagni d’università e uno di essi, ascoltando le mie “disavventure” sul lavoro mi ha fatto notare che:
“Si è persa l’educazione sentimentale”.
Non chiedermi come sia riuscita a passare da un detto inglese a una considerazione che rimanda, indiscutibilmente, a uno dei capolavori di Flaubert ma una cosa in comune ce l’hanno, l’educazione.
Hai fretta? Tientela. Il pensiero di una commessa inacidita
Va bene, forse non è molto professionale da parte mia aprire un paragrafo e una comunicazione sul mio blog con una simile affermazione ma, quando ci vuole, ci vuole.
Il tempo è sicuramente una risorsa preziosa ma se c’è una cosa di cui sono convinta è che il miglior modo per buttarlo via è affermare di essere di fretta, attribuendo a terzi la colpa di ciò che non si è riuscito a fare nel corso di mezz’ora, un’ora, una giornata, una vita intera. È il tipico comportamento dei Signori Grigi di Momo.
Recentemente ho cominciato a lavorare in un’edicola. Le mansioni da svolgere sono tante e, anche se non sembra, la maggior parte di esse sono finalizzate alla soddisfazione del cliente.
Purtroppo, non è facile accontentare tutti quando molti, praticamente, ti assediano pretendendo di essere serviti in un battito di ciglia. Che sia da sola e che, per forza di cose, debba andare per ordine poco conta. Vige la regola del cliente ha sempre ragione e per questo può, vuole e comanda. Alla faccia dell’educazione, che si è persa.
Nel commercio, oltre a offrire e a vendere, si instaurano delle relazioni e quel che mi impedisce di prendere le cose alla leggera è la disparità con le quali si instaura il rapporto stesso. Anche se dura la consegna e il pagamento di un quotidiano.
A me è capitato un raro momento di calma nella quale una signora mi ha chiesto informazioni su un gratta e vinci. Non aveva capito le regole del gioco e glielo stavo spiegando. Ero rilassata io, era cortese lei e ben volentieri ho cominciato a fornire tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Non si stava chiacchierando, svolgevo il mio lavoro.
Ad un certo punto sono stata interrotta da una mano che mi ha sventolato dei soldi in faccia accompagnato dalla seguente esclamazione:
“Il giornale, ho fretta!”
Mi è salita l’acidità, perché era stata infranta ogni norma base della buona educazione e perché ho realizzato che una commessa che si era resa disponibile per una cliente era stata vista e trattata come una che non si era premurata di mettersi a disposizione perdendo tempo ad instaurare un, seppur superficiale, rapporto umano.
Per un attimo sono stata tentata di perdere la calma e di rispondere come ho intitolato questo paragrafo ma, per ruolo rivestito, ho dovuto desistere dal bisbetico intento. Per dispetto, ho cercato di costringere il cliente maleducato all’attesa. Perché mi era sembrato di aver perduto qualcosa, di essere vista più come una macchina che come una persona.
Le relazioni, qualsiasi relazione, sono fondate sulla fiducia, la cortesia, la gentilezza e il rispetto. Si può non conoscere una persona ma questo non vuol dire che non abbia una vita e provi dei sentimenti, negativi o positivi che siano. Anche il cliente ha delle regole che andrebbero rispettate e, pressapoco, sarebbero queste:
- Annunciarsi quando si entra in un luogo, pubblico o privato che sia. Se il commesso è concentrato a far altro, non è carino dirgli che non ha sentito un buongiorno o un buonasera borbottato più per obbligo che per educazione. Anche se il cliente non lo può sapere, si sta comunque lavorando per lui.
- Il non interrompere una conversazione o una qualsiasi transazione commerciale in corso. Se tu fossi un cliente, ti piacerebbe essere scavalcato in questo modo da uno che è arrivato dopo di te?
- Riconquistare l’arte di saper attendere. Il cliente non fa prima se invece di mettersi in coda accerchia il commesso su tutti i fronti. Il commesso rimane uno, così come la cassa è una. Chi lavora nel commercio, qualsiasi ruolo svolga, non è ancora stato investito del dono dell’ubiquità. Meglio servire un cliente con calma e bene o velocemente, male e malvolentieri?
- Organizzare il proprio tempo tenendo in considerazione eventuali imprevisti o ritardi (perché ce ne saranno sempre di imprevisti e ritardi). Non è colpa del commesso se il cliente ha fretta, non può conoscere i suoi impegni così come il cliente non può sapere da quante ore è in piedi dietro un banco a sentirne di ogni…
La stessa cosa vale anche nel web writing, ma con qualche variante.

Immagine via Pexels
Ti serve un pezzo per ieri? Aspetti per domani
Altra rispostaccia, altro pensiero correlato alla poca attenzione ed educazione nel rispettare i tempi da parte di un possibile cliente.
Il web writer è un po’ come un edicolante, ha a che fare con le informazioni e distribuisce contenuti, parole scritte, comunicazione. Solo che il primo, fondamentalmente, è pagato per crearle al fine di favorire conversazione e, indirettamente, a generare aspettativa e fiducia ponendosi come tramite virtuale mentre il secondo le distribuisce al dettaglio, ponendosi come tramite reale.
Il problema è che l’idea che per scrivere qualsiasi cosa o rispondere a un commento sui social sia questione di pochi minuti ci vogliano due minutini è proprio dura a morire. Un qualsiasi contenuto non esce dal cilindro come per magia.
Anche qui, ci vuole tempo, pazienza e volontà di instaurare una relazione con il web writer/blogger perché:
- Chi lavora con la scrittura non è onnisciente e/o tuttologo. Non basta chiedergli di scrivere un testo su un determinato argomento senza dargli qualcosa, qualsiasi cosa su cui lavorare.
- Se un blogger consiglia a un cliente di definire un calendario editoriale con le suddette indicazioni e di preparare i contenuti prima di andare online, sarebbe carino rispettare questa richiesta. La difficoltà non sta nell’aprire un blog ma nel mantenerlo nel tempo e l’impegno è necessario da tutte e due le parti.
- Se dei testi non vanno bene, va specificato il prima possibile invece di lasciare in un’attesa (in questo caso inutile) il web writer incaricato per poi rivolgersi a qualcun altro, senza avvisare. Ti piacerebbe essere messo da parte senza nessuna spiegazione e/o critica oggettiva su cui basarti per poter migliorare?
- Prima di smontare pezzo per pezzo e pubblicamente un qualsiasi contenuto richiesto in tempi brevi facendo diventare matto il disgraziato che scrive sarebbe carino fermarsi un attimo e parlarne, con calma, in privato. Si risolvono parecchi malintesi anche solo parlando un po’. Uno scrittore non è una macchina e prima di smontare tutti gli ingranaggi di un discorso andrebbe ascoltata la componente umana che l’ha costruito da zero.
Se tutte queste piccole, semplici attenzioni umane vengono infrante è impossibile creare dei contenuti validi perché, dietro uno schermo o un qualsiasi social c’è un essere umano che mette le sue competenze a disposizione dell’eventuale cliente. Sarebbe buona educazione rispettare questo aspetto e tornare ad imparare a saper attendere, si risparmia in tempo e serenità.
Tu che ne dici?
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1 Comment
EDUCAZIONE! Certo, è difficile avere a che fare con il pubblico e lo sai bene. Per quanto riguarda la parte sul web writing, sottoscrivo ogni parola. Non tiriamo fuori dal cappello un testo, come se non richiedesse il minimo sforzo. Bisogna avere rispetto per chi si deve prima informare e poi deve CREARE qualcosa di inedito, da sottoporre poi a un pubblico. Anche coloro che correggono dovrebbero imparare un bel po’ di educazione, tra l’altro 😉