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Pausa racconto di Raffaele Landolfi: Le porte, le ragazze, lo zen dell’accanto e…

7 Luglio 2016
#PausaRacconto di Raffaele Landolfi

Tempo fa ho ospitato il Curriculum Del Lettore di Raffaele Landolfi e niente, deve essersi trovato a suo agio nelle stanze di questo blog e così ha pensato bene di aprirmi il suo ventricolo destro e farmi leggere qualche suo racconto.

Mi ha chiesto di trattarli con cura avvisandomi però che vi erano termini poco convenzionali e sboccati, che avrebbero potuto urtare la mia sensibilità di lettore.

Bene, a parte il fatto che non ho trovato tutta questa trivialità, i suoi racconti mi sono piaciuti talmente tanto che mi sono detta:

“Perché non pubblicarli all’interno della rubrica Pausa racconto? Sono divertenti e, anche se in certi punti sembrano prendere una piega amara, per niente banali”.

E così ho fatto ma, rispettando la volontà dell’autore, comincio con Le porte, le ragazze, lo zen dell’accanto e la legge dell’ops.

Gli altri saranno online nei prossimi giovedì. Buona lettura e, mi raccomando, divertiti! 😀

Pausa racconto di Raffaele Landolfi: le porte, le ragazze, lo zen dell’accanto e la legge dell’ops

“Ti amo…”

Un rumore sordo, un tonfo, faccio la giravolta intorno ai miei pensieri, la faccio un’altra volta, mi alzo, cado, mi rialzo e mi accorgo che un furgone m’ha buttato per aria la moto.

Ho sempre pensato che una parola è poca e due sono troppe, ma alcune frasi ti escono dal cuore, salgono e, come uno shuttle, una volta liberate delle paure e delle ansie, prepotentemente arrivano davanti alla bocca, la aprono (anche senza il tuo consenso e fregandosene del garante della privacy) e si liberano nell’aria, ma non in modo casuale, perché volano dirette alla persona che abbiamo di fronte, un po’ come il fumo delle sigarette che per quanto tu voglia essere contorsionista arriva inesorabilmente sempre sotto al naso del non fumatore, prima di scomparire e lasciarti lì, solo, con una patata bollente tra le mani.

Non so se guardare lei o la moto sfasciata per terra. Non so se sciogliermi o incazzarmi come una iena con il guidatore del furgone, sarà questa l’eterna lotta tra odio ed amore?!?

Mi stupisco ora a guardare il nulla, mi stupisco ad ascoltare quelle parole,mi guardo intorno per cercare di capire dove lei ha adagiato la sua corazza prima di pronunciarle, dove ha deposto le armi ma non trovo né alabarde, né pistole, né caschi; vedo solo lei, davanti a me, in mezzo a tante persone ignare del fatto che si è appena consumata l’ultima battaglia di una guerra durata mesi, già, una guerra, perché per amore si lotta (dicono) … e la mia moto è sempre lì a terra sfasciata (penso).

#PausaRacconto di Raffaele Landolfi: Le porte, le ragazze, lo zen dell'accanto e la legge dell'ops

immagine via Pixabay

Mi ritorna in mente (grazie Lucio) quel primo pomeriggio dell’anno scorso, quando nervoso ed irritato, litigando con un cliente me ne sono scappato fuori a fumare una sigaretta, non sapendo in quale guaio mi stavo cacciando (l’ho sempre detto che il fumo fa male, avrei dovuto togliermi il vizio, a questo punto avrei dei polmoni nuovi di pacca e qualche euro in più in tasca):

“Basta, adesso una sigaretta e per 5 minuti non voglio sentire nessuno … Adesso me la gusto .. Ma, l’accendino … Dove cavolo l’ho messo? Mannagg…”

“Devi accendere ?”

“Si .. il cervello .. una volta per tutte”

“Devi accendere o no? Non posso stare così fino a stasera!”

“Si, grazie… Fumi ?”

“No, rubo gli accendini al tabaccaio e faccio il giro della città per far accendere le sigarette ai coglioni che li dimenticano sempre”

Ecco dove l’avevo vista, era ad Oxford, nel banco dietro al mio:

“Grazie … e vaffanculo”.

“Cafone”

“Stronza”…

Niente male come inizio. Spesso mi sorprendo di me stesso. A volte sono così stronzo e cafone che non mi meraviglierei se dall’altra parte tirassero fuori una bacchetta magica e mi trasformassero in concime naturale, ma sono così, irrequieto, poco delicato, non incline alla dolcezza.

Al cattivo gioco non faccio buon viso ma faccio proprio una faccia di merda, sono prepotente, voglio sempre avere l’ultima parola, ed ho un umorismo che definire nero e cinico è come dire che Giuliano Ferrara è leggermente sovrappeso, in pratica sono una compilation di difetti (sarà per questo che non ho una ragazza fissa?!? Ma no … secondo me è perché lavoro troppo).

Per qualche giorno ho continuato ad incrociare questa ragazza, sempre alla stessa ora, sempre con molta cordialità e gentilezza, qualità che non mi mancano (“Cafone” … “Stronza”), poi per un mese e mezzo nulla, non l’ho più vista, scomparsa, PUFF, dissolta come in una nuvola di fumo, ma io non amo il fumo, prediligo l’erba, per cui non ci penso più.

Poi una sera, un locale, un buttafuori che nella sua enorme magnanimità mi concede di poter avere l’onore di entrare in questo capannone in disuso nonostante abbia le scarpe da ginnastica, un cuba libre, un altro cuba libre, un altro ancora, vomito, un’enterogermina, un cuba libre ancora:

“Hey CAFONE !!!”

Apro il database cervello.mdb, faccio scorrere quella faccia e ricordo:

“Hey STRONZA !!!”

ma aggiungo

“che cazzo di fine hai fatto? Tutti i coglioni del paese si sono preoccupati!”

Ma niente, lei mi guarda, mi sorride, mi saluta (“Ciao CAFONE!!!”) e se ne va, ed io resto lì, incazzato non tanto per il gentil saluto, ma per il sorriso, se c’è una cosa che mi mette di buonumore sono i sorrisi, ma in quel caso non capivo se era sincero o no, ed il dubbio ha vagato nella mia testa per un po’, prima di morire annegato nell’ennesimo cuba libre.

Giorni complicati e difficili dividono me dalla pensione, giorni nei quali c’è da lavorare, da portare avanti una casa, da costruire qualcosa, giorni nei quali aspetti che il tuo rapporto maturi e cresca fino ad arrivare a sbattere contro qualcosa di solido e concreto quale può essere il matrimonio, perché, pensi, è quello che è scritto, è quello che è giusto che accada, fidanzamento (lavoro), matrimonio (più lavoro) figli (più più lavoro) figli che crescono(lavoro all’ennesima potenza) fino ad arrivare al punto in cui quella concretezza diventa così apparentemente solida che ti rendi conto d’aver perso per strada qualcosa. Non parlo così per pessimismo cosmico o galattico, parlo così semplicemente perché i rapporti umani oggi sono diversi, strani, particolarmente odiosi, e questo ci porta a vedere di tutto, ed anche di ottut (che non è altro che il contrario di tutto).

Una volta una persona mi disse di prendere quei momenti belli che la vita ti mette davanti e conservarli gelosamente perché, nonostante possano causare problemi, sono i tuoi momenti e li devi vivere fino in fondo, questa persona una volta la vedevo tutti i giorni. Era con me e contro di me, mi voleva bene e mi abbracciava, mi allacciava le scarpe quando ero piccolo, mi malediceva per i tatuaggi e per la moto, ma poi mi benediceva un rosario e me lo faceva trovare sul comodino dicendomi che in quel rosario c’erano lei e Dio, e il loro amore, che mi guardavano e mi proteggevano. Già, peccato che oggi non so più neanche in quale parte del mondo sia finita la mamma. Sarà per un’altra volta, sarà per un’altra vita .. ah .. non c’è un’altra vita ? beh poco male .. pensiamo a questa.

E pensiamo a quella STRONZA, che poi in effetti io non conosco, che poi in effetti a me non dovrebbe fregarmene nulla di lei, che poi in effetti ma chi ci pensa … cazzo tutti questi effetti e io ancora faccio finta di non conoscerne le cause?!?

La incrocio tutti i giorni ormai, è singolare notare come sia stata davanti ai miei occhi per tanti anni e non l’abbia mai notata, e invece adesso, la noto, la guardo, la squadro da capo a piedi, mi sorprendo a cercarla con lo sguardo, ed a cercare un contatto, a non farmi notare mentre lo faccio, incredibile, proprio io ho di questi momenti,

“beh capita a tutti” penso

“ma non è il momento” dico.

Oggi è una giornata complicata e bella, mi sento euforico, ho fatto un buon lavoro, l’azienda s’è mossa bene, ho chiuso 2 contratti, il Milan ieri sera ha vinto, ma sono le 21.00 ed io ancora rinchiuso a far calcoli e preventivi, ancora impelagato nella mia, a volte maledetta, normalità, ma è una normalità che ho scelto io, in un famoso film dissero

“Ad un certo punto devi fare una scelta, tra il bene ed il male, quella scelta poi dovrà accompagnarti per tutta la vita, se riuscirai a portare una linea di condotta costante per tutta la sua durata potrai dire d’aver vissuto, a patto, però, che quella sia stata davvero una TUA scelta!”

Parole parole e solo parole, magari belle, ma comunque tali. A parlare è facile, sparare una bella sentenza ti fa sentire anche figo a volte ma poi su questa lunga strada trovi tante deviazioni che ti obbligano a riporle in un cassetto fino al successivo autogrill. Bene, dov’ero ?!?! ah si … ero, anzi sono, in ufficio a lavorare, quando sento bussare:

“Toh, la stronza!”

“Toh, il cafone!”

“Cosa vuoi ?”

“Niente, non ho voglia di andare a casa, non ho voglia di uscire, ti va di fare due chiacchiere?”

“Vuoi fare le chiacchiere? Sei pasticciera ? Sappi che io preferisco i castagnacci!”

“Io non sono pasticciera, ma tu sei sempre così cretino ?? vabbé lascia perdere, sapevo che era un errore fermarmi qui.”

“No dai, resta… Sono solo ed ho voglia di un po’ di compagnia. Caffè?”

“E digestivo ?”

“Ok ”

“Bene”.

Le porte, le ragazze, lo zen dell'accanto e la legge dell'ops (un racconto di Raffaele Landolfi)

immagine via Picjumbo

Una serata strana, io non la conosco per niente in realtà, eppure parlo con lei di tutto, dalle stronzate alla sfera personale, dal calcio ai grandi problemi esistenziali tipo chi siamo?dove andiamo?cosa facciamo?cosa trasportiamo?un fiorino!, e solo ad un certo punto, quando ripenso alla conversazione, mi rendo conto che l’erba che m’ha regalato il mio caro amico è davvero ottima.

A proposito di amici, io non ne ho tanti, ne avrò un paio, ma buoni, di quelli che chiedono quando sanno di dover chiedere e stanno zitti accompagnandoti nel tuo silenzio quando sanno che non c’è nulla da dire, gli altri sono tutti conoscenti, magari ottimi, ma pur sempre conoscenti, e mi stupisco a parlare delle cose MIE a lei che non conosco neanche, cose che non ho detto neanche ai 2 dell’Apocalisse sopraccitati, cose che loro sanno ma delle quali io non parlo, cose private insomma: “ cose dell’altro mondo !!! “ penso.

“Mi ha fatto piacere parlare con te… Cafone!”

“Prendo atto!”

“Prendo atto?? Con tutte le risposte possibili “prendo atto” ?? Complimenti, un altro paio di battute del genere e sono ad un passo dall’Oscar come miglior attore Faccia Di Merda.”

Di queste chiacchierate ne sono seguite altre, più o meno lunghe, più o meno piacevoli, più o meno serie, (più o meno lo sto scrivendo tante di quelle volte che se questo testo lo leggesse un insegnante d’italiano rischierebbe di farsi partire un embolo) ma ogni volta che siamo stati a contatto, vicini, a parlare, c’era un unico comune denominatore come protagonista assoluto : il fenomeno ferodo, cos’é il fenomeno ferodo? Semplice, è quella forza che ti frena, che non ti fa andare oltre, che si piazza davanti al tuo cuore, dà pressione, stringe le pinze e non consente aumenti o diminuzioni di battiti, proprio quando tu vorresti guardarla negli occhi e dirle:

“Tu .. soltanto tu .. fermi il tuo battito col mio .. tu .. soltanto tu .. senza paure “

che è il testo di una canzone, ma che racchiude tutto quello che desidero, e che desidera anche lei.

Ad un tratto capisco, ciò che mi attira di lei è che è identica a me, chiusa, frenata, corazzata, provata dalla vita ma piena d’amore, di dolcezza, di qualità che vorrebbero uscire fuori in qualsiasi modo, che dovrebbero salire su di una montagna e buttarsi giù, nel vuoto, fregandosene delle protezioni e di quanto potrebbe farsi male, lei è tutto ciò che io ho sempre desiderato in una donna, ma che non ho mai avuto la voglia o il coraggio di cercare, lei è così amorevolmente odiosa, ed io sono così caduto, preso, inghiottito da quegli sguardi, rapito da quei gesti, in equilibrio sulle sue labbra … e sono anche fin troppo stucchevole … ma non mi avrà così facilmente, o almeno non glielo farò credere, non permetterò che possa accorgersi che le mie difese sono al minimo, che sono vulnerabile fino al limite estremo, no, non posso, e, come sempre, mi allontano per soffrire da solo, un po’ come fanno gli elefanti quando vanno a morire.

Già, c’è chi si tuffa a pesce alla ricerca di quel momento di celebrità che sembra non arrivare mai, c’è chi dimentica se stesso, il lavoro, la propria vita, tatuandosi un’espressione da pesce lesso in viso, e si butta tra le braccia di quello che ritiene l’amore di tutta una vita, e c’è chi rifiuta i sentimenti, ma non perché non li ritiene importanti, semplicemente perché un sentimento come l’amore o l’affetto ti rende debole, e nel mondo di oggi, soprattutto per chi porta le cicatrici del proprio passato ancora ben visibili sulla schiena, una debolezza rappresenta ciò che per nulla al mondo si vorrebbe provare ancora.

Non sarebbe onesto dire qual è il metodo giusto o quello sbagliato di affrontare certe emozioni, ognuno le gestisce come meglio crede, l’importante è, come in tutte le cose, essere consapevoli delle conseguenze.

Io, notoriamente solitario, mi faccio in disparte, da certe situazioni, in certi momenti, mi chiamo fuori, non per vigliaccheria e non per mancanza di coraggio, ma semplicemente perché spesso devi veicolare la forza che hai per trovare soluzioni a problemi molto complessi, e non ne hai altra per far fronte ai sentimenti, alle emozioni e, a volte, a quello che vuoi.

Probabilmente (probabilmente ?!?!? ma probabilmente è un avverbio che non vuol dire un cazzo, semmai sicuramente … già ricominciamo).

Sicuramente (ma sicuramente che ?!?!?come ?!?!? chi vive di certezze muore d’incertezza, ne sono convinto, io diffido sempre dalle persone prive di dubbi, il dubbio è l’unica anima del pensiero … ricominciamo ancora, ma stavolta da un’altra parte):

“Ciao”

“Ciao, come stai?”

“Bene, a me va sempre bene, non si vede?”

No, non si vede affatto. Ho la faccia scura, vorrei abbracciarla, non baciarla, abbracciarla proprio. Sentirla vicino, provare, dopo tanto tempo, il calore di una persona che mi avvolge, che mi rassicura, che mi dà forza, si, sono convinto, adesso fanculo a tutto, glielo dico:

“Ascolta, credo che dovremmo finirla con questa farsa, mi sono accorto di come mi guardi, mi sono accorto che ti piaccio, ma tu non piaci a me, e dato che non voglio diventare un problema, credo che la confidenza che ormai ci unisce sia troppa, dovremmo prendere aria e respirare un po’”.

COSA ?!?!? COSA HO DETTO ?!?!? cerco di riprendere quelle parole e riportarle di nuovo in fondo alla mia gola, ripromettendo di prendermi a pugni da solo in un secondo momento, faccio aria con le mani, cercando di allontanarle dalle sue orecchie, ma, invece, le ha sentite fin troppo bene, le ha ascoltate dalla prima all’ultima, e, scommetto, che le ha sentite così come io ho sentito le sue cinque dita stamparsi sulla mia faccia, allo stesso modo di come io ho ascoltato le uniche parole che ha pronunciato:

“Fai schifo, grandissimo figlio di puttana”.

E io resto lì, fermo, muto, pietrificato, e lei va via, e la vedo allontanarsi in una distanza che non misurerei in metri ma in anni luce, ogni passo uguale 2 anni luce dalla mia vita, ed io non reagisco, non le corro dietro, non servirebbe, questo è davvero il momento di restare in silenzio e leccarsi le ferite, e lei non si volta indietro, non ce ne sarebbe motivo, ed io non ho né un cavallo bianco né gli occhi azzurri per poterle correre dietro, prenderla e portarla via con me , ed io … ed io … ed io sono rimasto chiuso fuori dall’ufficio, porca puttana.

Mi sta bene, non ho altro da pensare, mi sta bene questo segno in faccia, 5 dita piazzate in pieno viso, a mano aperta così bene manco facesse a botte dalla mattina alla sera, complimenti, bella figura davanti a quella decina di persone che erano lì intorno, ma non è questo il punto, uno schiaffo (uno solo) non fa male per il dolore, ma per quello che ti lascia dentro .

“…che non è il male né la botta ma purtroppo è il livido …”

La faceva facile anche Ligabue, ma tant’è.

SBAM!

“Cazzo, la botta di Ligabue si fa sentire però” penso…

Ma non è la botta di Ligabue, né qualche particella emozionale che grida vendetta, è la mia moto, a terra, tra il tic ed il tac dell’orologio della vita stavolta c’è stato il tempo di uno SBAM, mi volto, guardo il furgone, e il momento nel quale io mi sto dirigendo con intenzioni indubbiamente amorevoli verso il suo guidatore è lo stesso momento nel quale mi accorgo di averla davanti.

È tornata indietro, è a due passi da me, mi guarda, la guardo (cazzo guardi ?!?!? parla piuttosto). Vorrei dirle tante cose, avrei un trattato di pace da enunciare, una costellazione di lettere, di punti esclamativi, di punti e virgole, da lanciarle contro in modo confuso lasciando a lei la possibilità di costruire a suo piacere le frasi che vorrebbe (e che lei sa vorrei anche io) che dicessi (stile IKEA per intenderci)

… vorrei

… anzi voglio …

“ SCUSA ….

MA …

… m’interrompe …

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