“Perché chiamarmi assassino e non piuttosto la collera di Dio che arde sulle orme dell’oppressore e moda la terra quand’è intrisa di sangue?”
Quando ho letto questo incipit, tratto da Il vendicatore di Thomas De Quincey ho pensato subito di aver per le mani un libro ad alta tensione. Furente, feroce, travolgente. Di quelli da divorare, dai quali lasciarsi coinvolgere e sconvolgere. Non è stato così, per la prima volta mi sono trovata di fronte a un’opera narrativa che non mi ha affascinato più di tanto.
Mi piace la letteratura ottocentesca o meglio, mi piace la letteratura inglese ottocentesca. Almeno per quanto riguarda i pochi autori o autrici ai quali mi sono accostata come lettrice. Ne apprezzo l’eleganza stilistica, l’ironia, la capacità di creare intrecci e colpi di scena mai scontati che li rendono, secondo me, sempre attuali.
Se poi vi è una componente emotiva molto forte, tipica del pensiero romantico inteso nel senso letterario del termine, la letteratura inglese è il massimo. Con Thomas De Quincey non ho rilevato queste peculiarità.
Perché Il vendicatore non mi ha travolto e/o sconvolto
Forse non era il momento di leggere Il vendicatore o forse non è tra le opere narrative più brillanti di Thomas De Quincey ma, oltre all’incipit, ho fatto fatica ad andare avanti.
L’autore si dilunga troppo sulle caratteristiche della cittadina dove si svolge la vicenda – un piccolo angolo di paradiso che verrà poi sconvolto da efferati omicidi perpetrati senza (apparente) motivo – e le mille mila qualità fisiche, intellettuali, spirituali e chi più ne ha più ne metta del protagonista maschile, Maximilian.
Dopo pagine e pagine dove abbondano descrizioni e magnificazioni varie, infarcite di domande retoriche, si giunge alla descrizione delle qualità della protagonista femminile, Margaret per poi continuare con l’ovvio innamoramento fra i due con tanto di delusione amorosa di un altro innamorato della fanciulla e che lo porta a perdersi lungo il sentiero della follia.
Solo dopo più di 20 pagine e nel corso di un ballo tutto sorrisi e smancerie giunge la notizia del brutale assassinio di una famiglia. Seguono diverse pagine di altri delitti dove di tutori dell’ordine non se ne vede neanche l’ombra e, se ci sono, brancolano nel buio assicurando che di sicuro c’è un collegamento in quella serie di crimini sanguinolenti (ma va?).
Alla fine ***SPOILER*** muoiono tutti. Solo uno si salva, il narratore naturalmente il quale informa il lettore dei retroscena leggendo la lettera lasciatagli da Il vendicatore. Basta, finito il racconto, finita la lettura e… nessuna emozione da parte mia.
La lettura della storia così strutturata mi è risultata noiosa e difficoltosa. Una difficoltà diversa da quella affrontata con la vicenda narrata da Thomas Mann, peraltro priva di accadimenti significativi e/o sconvolgenti, sul tormentato Tonio. Se quest’ultimo risulta complesso per le varie possibilità interpretative che si aprono anche in un’unica, brevissima frase, in De Quincey la complessità non è nel contenuto ma nei periodi lunghissimi e articolati, la voce narrante mi è sembrata stentorea, artificiosa. Parla di persone ed emozioni ma, sostanzialmente, non si riesce a identificarsi con esse.
La storia de Il vendicatore l’ho sentita fredda e anche se la vendetta è un piatto che va servito come tale, il gusto finale ha deluso le aspettative che mi ero creata ma, se hai qualche altro titolo di Thomas De Quincey da consigliarmi per poi smentire questa mia opinione, sarei ben felice di riprovare.
Alla prossima lettura!
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