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Terremoto in Friuli 1976-2016: Memorie passate e domande presenti

9 Maggio 2016
Terremoto in Friuli 1976-2016: memorie passate e domande presenti

Sabato mattina ho visitato la mostra Memorie a Villa Manin dove è raccolta gran parte della documentazione inerente il terremoto che ha devastato il Friuli nel 1976.

Non ho vissuto questo momento e i miei genitori erano appena dei ragazzi quando questo accadde però mi piacerebbe raccontare ciò che ho visto. Perché solo così il termine memoria ha un senso  e solo così si comprende più a fondo l’identità di una regione e di chi la abita.

Oggi quindi mi lascio andare ai collegamenti, alle riflessioni e alle emozioni provate percorrendo gli interni di Villa Manin.

Villa Manin: all’interno delle Memorie del terremoto in Friuli

Da qualche mese lavoro in un’edicola e il 6 maggio, giorno in cui cade la ricorrenza del terremoto del ’76, il Messaggero e i suoi inserti sono stati letteralmente presi d’assalto. Sono finiti in meno di una mattinata e ho passato l’intero pomeriggio a deludere la clientela che chiedeva una copia del giornale, un dvd, un libro allegati. Erano interessati, volevano sapere e ricordare. Più volte mi è parso di intravedere negli occhi l’espressione di chi ha vissuto quel momento e vuole confrontare il ricordo con quello dei giornali, dei libri, dei dvd. Questo mi ha fatto supporre che l’interesse per la mostra Memorie sarebbe stato altrettanto alto e sabato mi aspettavo di trovare una coda chilometrica ma, non c’era nessuno.

Vuoto il bookshop, vuota la biglietteria, vuote le sale allestite ad eccezione di qualche rara coppia di anziani seduta nelle aree video. La cosa mi ha lasciata un po’ perplessa e la bigliettaia ha confermato che non vi è stata finora una grandissima affluenza, probabilmente perché le informazioni a riguardo non sono state ancora recepite, metabolizzate e che molto probabilmente le persone si avvicineranno alla retrospettiva un po’ più avanti, con calma.

Questo comportamento può essere visto come mancanza di sensibilità. I sentimentalismi sono debolezze che non ti mettono il piatto in tavola e un tetto sulla testa e questo modo di essere, di reagire di fronte ad un evento, lieto o tragico che sia, l’ho percepito fin dalla prima sala dove, guardando un video, ho ascoltato alcune parole di una signora intervistata due ore dopo in cui tutto è crollato e finito in macerie.
Espressione spaventata, scossa ma ferma, la donna si è limitata a spiegare al giornalista cosa era accaduto e alla domanda sul che cosa pensava di fare ha alzato le spalle e detto, semplicemente:

“Eh niente, adesso ci stiamo organizzando per ricostruire”

per poi voltare la testa verso il punto dove distribuivano cibo, coperte, compiti da svolgere.

Entro in un’altra sala e trovo la cassetta degli attrezzi del giornalista più un manifestino che racconta di come:

“la troupe della sede regionale della RAI fu la prima a raggiungere le aree terremotate e i suoi faretti a batteria furono utilizzati dai soccorritori per salvare alcune persone imprigionate dalle macerie”.

Ho letto cosa scrisse l’allora Direttore del Messaggero Veneto, Vittorio Meloni:

“Il terremoto ha sconvolto e distrutto i paesi ma non ha abbattuto i friulani. C’è un’atavica abitudine alla sciagura, all’ineluttabile, alla calamità che non si può evitare, soltanto sopportare e vincere con la volontà di fare, di rifare. Una regione che ha subito in media ogni cinquant’anni un’invasione, che ha sempre dovuto rimettere le semine, ricostruire le case, ripopolare le campagne, che ha sofferto Attila e i turchi, i barbari antichi e quelli più moderni; un popolo che è andato a lavorare per il mondo dalla transiberiana ai grattacieli di New York…”

Ripreso da Tommaso Cerno, l’attuale direttore che dice:

“[…] Oggi, in situazioni simili, si abbonda in retorica, lamenti, imprecazioni, piagnistei, ma non certo in coraggio di fronte alle scelte urgenti che il futuro pone nell’immediatezza. […] “

Ti chiedo scusa se non ho riportato interamente in trafiletto di Cerno ma non voglio toglierti il gusto di visitare la mostra se ti trovi nelle vicinanze. Quello che mi preme è esporti delle domande che mi sono sorte spontanee quando ho letto la frase citata e che mi porta a pensare di come sia cambiato il modo di fare giornalismo negli ultimi 40 anni, di cosa sia stato fatto dallo Stato all’epoca e quali aiuti abbia fornito, ad esempio, in Abruzzo.

Leggo poco i giornali e, ancor meno, seguo i programmi televisivi. Personalmente mi infastidiscono perché li vivo proprio come sono stati descritti dalla frase di Cerno, piagnistei.

Mi fa strano notare come sia cambiato, in peggio, anche il modo di comunicare e narrare i fatti. La componente emotiva è importante, certo, ma è il modo in cui viene manipolata per fare audience che mi lascia perplessa.

Nel ’76 i giornali mostravano cosa era stato distrutto, hanno certamente lodato la voglia di fare dei terremotati e, in base alla documentazione esposta, hanno seguito la vicenda con attenzione e mostrato ciò che era stato fatto per tornare alla vita di tutti i giorni.

Le sale di Villa Manin pullulano di progetti, di plastici e immagini del prima e del dopo. Di cosa è stato ripristinato e di cosa si sta ancora rimettendo a posto. Di opere d’arte e allestimenti, nostrani e provenienti dall’America.

Informazioni sulle fasi di ricostruzione e recupero dei beni del territorio in Abruzzo non me ne ricordo ma servizi di distruzione, macerie e persone sconvolte con tanto di musichetta strappalacrime di sottofondo sono stati mandati in stampa e in onda fino alla nausea per poi tornare, anni dopo, a mostrare cosa non era stato fatto.

Da una parte l’effetto emotivo è dato dal desiderio di rimettersi in sesto nonostante tutto dall’altra, quella corrispondente al presente, suona meglio la dantesca frase:

“lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”.

Come siamo arrivati a questo? Credo che questa mia domanda rimarrà senza risposta e, non so perché, mi è dispiaciuto ricordare, in questo contesto, un’affermazione fatta da un venditore di souvenir a Roma:

“Mio padre mi diceva sempre: da Roma in giù sono stupidi ma più furbi, da Roma in su sono più intelligenti ma meno furbi. Se devi scegliere dove stare, meglio che vai al Nord perché là, se manca qualcosa, la si crea, la si costruisce mentre al Sud si vive di espedienti, per questo sono più furbi”.

Mi è dispiaciuto perché non credo sia un problema di come informino e comunichino i Media tradizionali e non ma di volontà, di voglia di fare qualcosa per cambiare in meglio e si giustifica questa inerzia adagiandosi sugli stereotipi e sulle differenze culturali che dividono la penisola.

Non ho scritto questo post per fare polemica o denunciare cose che non vanno, né con l’ intento di offrire soluzioni. Non ho la competenza e tanto meno le conoscenze adatte per parlarne con cognizione di causa. Il mio è solo cercare di mettere per iscritto dubbi e domande e mi piacerebbe sapere se sono quesiti che rodono anche altri e come si muovono per riuscire non dico a tacitarle ma, almeno, a conviverci…

P.S. Tra le varie testimonianze video, ce ne sono due che mi hanno lasciato con una risata e una lacrima nel cuore.

Una raccontava di alcuni volontari che, giunti a Gemona, hanno visto gli operai avvolgere nel cellophane le tegole ancora buone. Il terremoto era appena passato ed era prevista pioggia. Si doveva mettere in salvo il salvabile. Gli operai hanno comunque acconsentito a scendere per qualche minuto e bere un bicchiere di vino con i nuovi arrivati che dissero:

“Ma sapete che ieri avremmo dovuto disputare qui una partita di calcio contro la vostra squadra?”
“Vi è andata bene perché le avreste prese!” dissero i gemonesi tornandosene a recuperar tegole.

L’altra, invece, raccontava di un signore che teneva lontani dalla sua dimora, distrutta a metà, tutti quelli che si avvicinavano. Anche solo per valutarne il danno. L’uomo abitava nella metà sana e lì voleva rimanerci:

“Forse” ipotizzò il testimone intervistato “aspettava che andasse distrutta anche l’altra parte, per poter stare con la moglie. Morta e imprigionata nelle macerie della loro casa… “

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