Scrittura creativa

Pausa racconto: in viaggio con un paio di scarpe Prada (3)

21 Aprile 2016
#PausaRacconto: In viaggio con un paio di scarpe Prada (3)

Terzo appuntamento con In viaggio con un paio di scarpe Prada, pausa racconto che nelle precedenti puntate ha narrato come le calzature furono scelte e poi portate a spasso a Bologna. Rimasero chiuse nella loro scatola ma seguirono le protagoniste a Perugia, Gubbio, Assisi, Firenze e Genova…

Perugia è un saliscendi, ma la osservai distrattamente.
Giunta in Piazza IV Novembre pensai certo che fosse molto bella. Aveva un che di distaccato. Una nobildonna graziosa adagiata sulle colline umbre, placida ma quasi indifferente ai suoi ammiratori. Persa in un mondo di sogni il cui accesso era consentito solo a chi la sapeva vivere con pazienza e tenacia.

Non indossai le scarpe Prada. Forse perché l’irrisorio tacchetto avrebbe potuto incastrarsi in un qualche solco della pavimentazione. Non sarebbe stato carino tornare a casa con un paio di scarpe monche o graffiate.

Nemmeno la tortuosa Gubbio era adatta per le raffinate calzature che mi portavo appresso. Molto grigia, Gubbio. Tanti scalini e vicoli stretti, panorama meraviglioso, ma l’atmosfera di austera spiritualità metteva un po’ di soggezione, inquisitoria (e non proprio vagamente). Volli andarmene, anche se mi dispiacque non essere riuscita ad apprezzarla.

Poco distante, sul fianco del monte Subasio, spuntava, nel verde, un piccolo isolotto candido, Assisi. Varcata la porta della città, sembrò di entrare in un’altra dimensione, dove tutto era brezza gentile, un’inspirazione di pace a pieni polmoni. Visitatori e frati si mescolavano per le vie e le piazze della cittadina. Chiacchieravano e osservavano, eppure qualsiasi voce o rumore giungeva come attutito, ovattato. Non c’era un’atmosfera di severo rispetto e rigore spirituale, solo un delicato e discreto senso di accoglimento.

Se si dovesse costruire il Paradiso, sarebbe a immagine e somiglianza di Assisi. Saio e sandali avevano un qualcosa di rassicurante. San Francesco, spogliatosi dei suoi ricchi abiti, li indossò per tutta la vita. Sopra un cilicio, per la mortificazione della carne. Eppure non si sentiva dolore in quell’ordine che seguiva i suoi insegnamenti. Solo pace e contemplazione della bellezza interiore che si esprime per mezzo della Natura.

Potevo calzare le scarpe Prada in un simile contesto? Indossare un bene lussuoso in un luogo dove era nato un Santo che se ne era volutamente privato sarebbe stato un controsenso, un’ipocrisia. Meglio lasciarsi ferire gli occhi dal sole e riposarli osservando gli oliveti circostanti che indossare qualcosa che forse non sarebbe stato notato ma che, sentivo, mi avrebbe fatto fare la parte della stolta e della sprovveduta che non era stata in grado di cogliere il senso di quel luogo.

Forse, a Firenze, sarei stata nel giusto contesto. Peccato che, arrivata, mi dimenticai completamente delle scarpe.

#PausaRacconto: in viaggio con un paio di scarpe Prada (Firenze, immagine via Pixabay)

Firenze (immagine via Pixabay)

Appena scesi dalla macchina, quasi corsi verso ponte Vecchio.

– Mamma, dai, sbrigati. A ponte Vecchio ci sono le botteghe degli orafi e degli artigiani antichi. E poi devo mostrarti la Cappella Medicea. E palazzo Pitti. E vedere gli orari della Galleria degli Uffizi. Quando sono stata in gita scolastica, io e i miei compagni di classe non abbiamo potuto visitarla. Era chiusa per restauri, mi pare. E poi, c’è anche la facciata spettacolare di Santa Maria Novella e… –

– Un momento che chiudo la macchina. Fermati, che Firenze non scappa. –

– Ok, ma sbrigati. –

Dopo Bologna, fu il momento più lungo di tutto il viaggio. Sembrava che girasse la chiave e prendesse i suoi effetti personali con la velocità di un bradipo. Mentre camminava, estrasse anche il telefono e cominciò a digitare un messaggio.

– Mamma, cosa fai? Lascia stare il telefono che dobbiamo andare verso ponte Vecchio! –

Glielo indicavo con la mano come un bambino indicherebbe questa o quella giostra o tutti i giocattoli esposti in un qualsiasi negozio.

– Arrivo, ho solo mandato un messaggio a tuo padre per dirgli che siamo arrivate a Firenze. –

– Ah, e cosa ti ha detto? –

– Di non saltar troppo dalla gioia, che se no sbatti la testa contro il soffitto o qualche arco. –

– Non c’è pericolo. Sono perfettamente padrona delle mie emozioni. –

Sguardo materno dubbioso, molto dubbioso.

Sul momento non me ne resi conto, ma come misi piede a Firenze, pur essendoci stata tre volte in tutto, era come se la conoscessi perfettamente. La guida rimase chiusa in borsetta. Ricordavo ancora le vie percorse in gita scolastica e individuai quasi subito – qualche deviazione è comunque capitata – i punti che prediligevo di più.

Firenze è bella, è vitale. È arte. È ingegno. È Rinascimento. È meraviglia. Firenze è Firenze. Un po’ mi dispiaceva non essere nata nelle vicinanze. Poco importava che fossi poco distante da Venezia, una delle Sette Meraviglie del mondo. Anzi, Venezia mi stava pure lievemente antipatica. È un’intrigante un po’ snob. Saranno gli odori che emergono dai canali nelle calde giornate estive.

Il tempo risparmiato visitando le altre cittadine fu tutto dedicato a Firenze. Dalla Galleria degli Uffizi uscii estasiata, con il catalogo più costoso della mostra stretto fra le braccia. Non badai a spese, di tutto quello che visitai presi un libro inerente. Sarebbero stati un ricordo prezioso perché sapevo che forse non avrei più avuto occasione di farvi ritorno. È sempre difficile salutare un luogo che ami o un amico con il quale ti sei trovato subito in sintonia, pur non essendoci cresciuto assieme.

Ma un viaggio è un percorso che guarda avanti e, per avanzare, è inevitabile lasciarsi qualcosa alle spalle. Per quanto ci si sforzi di portarlo sempre con sé.

Mancavano Genova e Milano. Nella prima si voleva visitare l’Acquario e la seconda doveva essere un’occasione di visita a parenti.

L’Acquario è veramente qualcosa di spettacolare ma per raggiungerlo c’è stata qualche complicazione. Avevamo parcheggiato lungo il porto, ma non vi erano indicazioni dettagliate per raggiungerlo. Le trovammo scritte su un cartello, poco più grande di un foglio A4, rivolto verso il mare. I naviganti genovesi devono avere un occhio di falco per poter leggere una simile indicazione.

Mia madre era irritata. Avevamo appena visitato il museo navale pensando che fosse collegato all’Acquario, invece ne era una sede distaccata. Il bello è che chiedemmo se era L’Acquario e ci fu risposto affermativamente. Mia madre si sentì presa in giro e non voleva nemmeno entrare dove eravamo inizialmente dirette. La coda poi, era chilometrica, ma ormai eravamo lì. Pagai io i biglietti. 15 € l’uno, se non ricordo male. Soldi che, a mia madre, sembravano buttati via. Alla fine, la visita le piacque tanto quanto piacque a me.

Lo stesso prezzo era richiesto per salire la torre di Pisa. Passammo anche da lì, ma ci limitammo a guardare la torre, fare quattro foto e andare via. Un mese dopo, a Udine, ci arrivò la multa per dove avevamo parcheggiato. Curioso, appena scendemmo incrociammo un vigile pisano e gli chiedemmo se si poteva lasciar lì la macchina.

– Sì, sì, tranquille! –

Disse.

– Che la multa arriva lo stesso. – Deve aver pensato.

L’avventura si è trasformata in disavventura, ma come andrà a finire? Buona lettura con la quarta e ultima parte. 🙂

Photo Credits: immagine in evidenza via designerpics.com

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