Concludo la settimana con la lettura, breve ma densa e complessa, de Pane nero e altre novelle rusticane di Giovanni Verga e, visto che ci sono, lascio anche una piccola riflessione sul romanzo simbolo del Verismo, I Malavoglia.
Leggere Giovanni Verga: piccola premessa su I Malavoglia
A indurmi a leggere I Malavoglia, tempo fa, sono stati i commenti non proprio positivi di amici e compagni di sventure studentesche.
Molte volte, infatti, mi sono sentita dire che la scrittura e le scelte narrative di Giovanni Verga sono pesanti, di difficile comprensione per l’abbondante uso di inflessioni dialettali o perché parla di una realtà che ormai sembra far parte del passato e nella quale il lettore non riesce a identificarsi.
Dato che poi la narrativa verghiana, facendo un paragone forse un po’ azzardato, non ha ricevuto un grande riscontro tra i suoi contemporanei come è avvenuto con Manzoni il quale, con I Promessi Sposi, ha assunto il titolo di padre del romanzo risorgimentale, lessi I Malavoglia un po’ per capriccio e un po’ per dispetto.
Quello che forse è difficile mandar giù quando ci si avvicina alle pagine lasciate da questo autore meraviglioso è che narra una verità sociale senza introdurre alcun elemento capace di cambiar le sorti dei suoi personaggi. Semmai le loro vicende volgono al peggio, a un realismo nudo e crudo. Insomma, con questo autore ci si può scordare bellamente il lieto fine o il colpo di scena capace di dare una svolta al ritmo narrativo.
Per questo, forse, ispira noia. Eppure a me è piaciuto molto leggere questo romanzo e le stesse immagini che mi ero costruita seguendo la storia della famiglia Toscano mi sono apparse anche con Pane nero e altre novelle rusticane.
Leggere Giovanni Verga: Pane nero e altre novelle rusticane, immagini d’altri tempi
La bellezza, sia nel romanzo sia nelle novelle di Verga, è tutta nelle immagini.
Le descrizioni sono così dettagliate che quasi si sente l’afa delle giornate estive, i campi duramente lavorati e, attraverso gli oggetti e gli ambienti, sembra di rivivere anche gli stati d’animo di una classe sociale in continua lotta non per la vita ma per la sopravvivenza.
Non c’è speranza in un cambiamento o in un riscatto sociale.
Le cose rimangono tali e quali e anche le relazioni che noi oggi diamo per scontate mutano dall’innamoramento, dolce e delicato, al matrimonio vissuto come una gabbia d’infelicità non perché l’amore se ne è andato ma perché è stato corroso dagli stenti, dalle fatiche, dalla mancanza di sicurezza economica e dalla paura di non riuscire a mettere, semplicemente, un piatto in tavola.
“Le galline quando non hanno nulla da beccare nella stia, si beccano tra di loro”.
Leggere Giovanni Verga è come ricordare che ci sono cose, soprattutto nella realtà italiana, che non cambiano e dove i ricchi rimangono ricchi e i poveri rimangono poveri ma anzi, scendono ancora più in basso nella scala sociale perdendone anche in dignità e rassegnandosi a una Giustizia che non è affatto uguale per tutti:
“- Che Giustizia! – strillava compare Vito tornando a casa con la cavezza in mano – La Giustizia è fatta per quelli che hanno da spendere – “
Una verità noiosamente vera, anche se appartenente a un passato che non è poi così lontano.
3 Comments
Uh mammina, ammetto di avere un rapporto pessimo con Verga. Una delle poche cose siciliane che proprio non mi va giù!
Ma tu saprai trovare un punto d’accordo. Ne sono sicura, Bruna! :*
Speriamo 😀