Scrittura creativa

Pausa racconto: in viaggio con un paio di scarpe Prada (2)

14 Aprile 2016
#PausaRacconto_In viaggio con un paio di scarpe Prada (2)

Giovedì scorso c’è stato l’incontro con la prima tappa della pausa racconto intitolata Un viaggio con un paio di scarpe Prada. Le rinomate scarpe sono quindi partite con due improbabili turiste in giro per l’Italia giunte, a notte fonda, nel centro di Bologna per poi…

Quando sai da dove vieni, sai anche dove andare. Almeno, così credevo.

– Dici che dovrei portarle? –

– Perché no? Si vive una volta sola nella vita e non è un peccato concedersi un premio di tanto in tanto. La nonna ti ha fatto proprio un bel regalo. –
E sia, le scarpe Prada finirono dritte in valigia e nel bagagliaio della macchina.

Partimmo in tarda serata. Avevamo una cartina, delle città da visitare, ma nessun tragitto pianificato. Con mia madre è sempre stato così. Vuoi fare questo o quello? Fai. Se ci sono intoppi, li risolverai sul momento. Se no, che razza di avventura è? È il suo modo di vivere il detto “Volere è potere”. E di non riconoscere limiti.

– Siete fuori di testa, ma fate attenzione… Avete almeno idea di dove dormirete? – Domandò mio padre, prima di salutarci.

– Eh, tranquillo! – esclamò mia madre – un posto dove dormire lo si trova sempre. Al massimo dormiremo in macchina. –

Il sopracciglio paterno si alzò.

– Vabbé, tenete il telefono acceso. Divertitevi. –

La prima tappa fu Bologna, perché è la città natale del nonno.

Il selvatico nonno, amante della montagna e della vita all’aria aperta, marito della raffinata nonnina alla quale dovevo le calzature che mi portavo appresso e che aveva provato ad ingentilirlo con indumenti diversi dalla camicia a quadrettini, dai pantaloni consumati sulle ginocchia e dagli scarponcini sfilacciati. Non c’era stato verso, ma forse anche per quello l’aveva sposato. Per il suo spirito vivace e intraprendente. E Bologna, in fondo, è un po’ così.

Vi arrivammo alle 5 del mattino. Parcheggiammo in una delle piazze adiacenti alla Torre degli Asinelli, di fronte a un bar. Le serrande erano abbassate e nel punto dove ci eravamo fermate era saltata la luce del lampione. Era buio pesto.

– E adesso, che facciamo? –

– È troppo tardi per cercare un posto dove dormire. Siamo arrivate prima di quanto avessi calcolato. Vabbé, facciamoci un pisolino. –

– Mamma, non mi fido mica tanto a dormire in macchina. In mezzo a una strada di una città sconosciuta. –

– Va bene, chiudi l’auto dall’interno e prendi un cappotto in più così ci teniamo al caldo e da fuori non sembra che ci sia dentro qualcuno. Tanto è buio. –

– Ok. –

Le soluzioni materne. Non chiusi occhio. I sedili della Punto erano scomodi, non c’era il cuscino, faceva freddo e sentivo rumori di passi dappertutto.
Rimasi due ore con la faccia rivolta al finestrino a scrutare la siepe dell’edificio a fianco. Sia mai che spuntasse fuori un delinquente dai cespugli, saltando la cinta muraria. Le mie paranoie furono spazzate via dal dolce suono della serranda del bar che si alzava. Sia lodato il cielo, si poteva fare colazione. Cappuccino e brioche, per rigenerarsi da un riposo carico di tensione.

– Mamma, andiamo a far colazione. Il bar sta aprendo! –

– Aspetta un momento che si organizzino, mica possiamo irrompere nel locale come se fossimo dei barbari. E poi, stavo dormendo. –

I dieci minuti di appostamento a un bar più lunghi della mia vita. Ma furono il cappuccino e la brioche più gustosi di sempre. Peccato che non ricordi il nome del bar, ma non credo che il cameriere si ricordi di due stralunate donne che, scese da un’auto ferma da ore, attraversavano la strada. La più giovane in testa, affamata di caffè con tanta, tanta schiuma.

#PausaRacconto_in viaggio con un paio di scarpe Prada

Bologna (immagine via Pixabay)

Dal cielo bolognese cadeva un pioggerellina sottile eppure l’anima di quella prima tappa aveva un qualcosa di speciale. La si sentiva allegra, nonostante l’atmosfera grigia e malinconica. Non indossai le scarpe Prada, l’umidità dell’aria avrebbe potuto rovinarne il cuoio. Andammo a vedere il quartiere dove era vissuto il nonno. L’ombrello servì poco, di portici a Bologna non mancano. Fu toccata e fuga. C’erano altri luoghi che volevo vedere.

Prima di partire avevo elencato 28 città italiane, ma dovetti scendere a 7 per questioni di tempo. Le ferie di mia madre non sarebbero durate a lungo e poi c’erano la benzina, il mangiare e il dormire da mettere in conto. Meglio non esagerare.

Dopo Bologna ci furono Perugia, Gubbio e Assisi. L’ordine preciso non me lo ricordo. Ogni tanto ci si fermava in un autogrill e si tirava fuori la cartina. Mia madre la consultava e io tiravo fuori il foglietto nel quale avevo elencato i luoghi che volevo vedere.

– Che strada prendiamo? –

– Boh! Non so mamma, guidi tu. Fai tu… –

– Bon, guarda anche tu cosa dice la cartina. –

Guardai la cartina.

– Ci sono tante linee colorate, qual è quella più corta? –

– Ma non hai mai fatto orientiring? –

– Sì, mamma, alle medie. E la squadra nella quale ero stata messa ha perso. –

– Ok, seguiremo le indicazioni. Da qualche parte arriveremo. –

Ad arrivare dove volevamo arrivare siamo sempre riuscite. Quando eravamo vicine all’obiettivo sostavamo in un qualche ristorante o comunque in una struttura ricettiva provvista di elenco telefonico. Si sceglieva un albergo e si chiamava per chiedere se c’era una camera disponibile e a quale prezzo. La più economica era la prescelta. Anche qua, un vuoto di memoria. L’unico luogo dove dormimmo che ricordi era tra l’Umbria e la Toscana.

Arrivammo di sera. Sembrava più un Bed & Breakfast che un alberghetto. Le mura erano in pietra e l’ingresso era attorniato da piante rampicanti, di quelle decorative. Dal lato destro del cortile, spuntò fuori un gatto bianco con chiazze nere e marroni. Ci venne incontro come se fosse l’albergatore, mi abbassai per accarezzarlo e, con nonchalance, me lo ritrovai sulle spalle. Neanche fosse un pappagallo e io un pirata. Un gatto con qualche crisi d’identità? Non si sa, la porta si aprì e ne uscì fuori una donna che chiamò a sé la bestiola, con l’inconfondibile accento che caratterizza le zone di origini etrusche. Invece di entrare, si dileguò in un altro angolo del giardino. Non era un felino molto obbediente.

– Siete la signora che ha chiamato per una stanza per due persone? –

Domandò l’albergatrice.

– Sì, siamo noi. Scusi per l’ora, ma non riuscivamo a trovare il posto. Grazie, per l’ospitalità. –

– Ma si figuri, è il mio lavoro. Scusate per il gatto, fa un po’ quello che gli pare. Ma mi par di aver capito che vi ha accolto adeguatamente. –

Dormimmo molto bene e, nei giorni seguenti, visitammo Perugia, Gubbio e Assisi.

Come procede il viaggio? Prosegui anche con la terza parte?

Photo Credits: immagine in evidenza via designerpics.com

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