libri Recensioni

Lettera allo scrittore: non sempre caro mi fosti tu, Leopardi

29 Marzo 2016
#LetteraAlloScrittore: non sempre caro mi fosti tu Leopardi

Vi ho ragionato fino all’ultimo e poi mi sono decisa a rivolgermi a Giacomo Leopardi che purtroppo non sempre mi fu caro e che solo in questi giorni, desiderosa di riappacificarmi con la poesia, sto imparando ad apprezzare. Così la Lettera allo scrittore (iniziativa lanciata da Bruna Athena) va al poeta della noia ma anche della dolce malinconia e della ombrosa bellezza.

#LetteraAlloSCrittore: Giacomo Leopardi (immagine via Wikipedia)

Caro Giacomo,
scriverti ora, appena conclusi i festeggiamenti pasquali mi par strano ma, al contempo, pertinente.

Tu hai fondato l’intera tua poetica sul concetto di noia lasciando ai posteri versi intrisi di negativo sconforto.

Mi ha sempre inquietata la tensione del tuo lamento morente, un focus continuo e ossessivo sulla caducità della vita. Perché adombrare con i tuoi dolori le mie letture adolescenziali? A ogni tua poesia da mandare a memoria quasi sbuffavo dalla rabbia e dalla frustrazione. Che male ti hanno fatto i poveri studenti che, generazione dopo generazione, si son trovati immersi in una viscosa malinconia? Quale “crudeltà” si celava nei professori nell’imporre un’analisi puntigliosa e capillare dei tuoi versi? Guai a dare una libera interpretazione dei tuoi Canti!

Tu, osannato dai programmi scolastici, hai smorzato le speranze giovanili proiettate verso un futuro gioioso, emozionante, fatto di sogni da realizzare. Perché concentrarsi sul tuo ponderato e pesante realismo?

Rigore, rigore, rigore. Questo mi ispirava la tua poesia. Leggerti equivaleva vivere perennemente con il vocabolario a portata di mano a causa del tuo gusto per le parole arcaiche. Anche se esse evocavano qualcosa che andava oltre il significato nascosto, emettendo il suono di un’emozione non fu sufficiente, per me, desiderar di conoscerti a fondo, obbligata com’ero a smontar la struttura metrica di ogni tuo benedetto componimento per riassemblarlo, senza dimenticar la sovrabbondanza di figure retoriche, al solo scopo di trovare una via di sopravvivenza all’ennesima interrogazione.

Con te mi è sempre andata male e, pur non negando i pregi della disciplina a cui ogni intellettuale si sottopone, mi sono allontanata, delusa, da te e dalla Poesia in generale. Tuttavia, ho deciso di far pace con questa antica e nobile forma d’arte nella quale eccellesti.

Titubante, caro Leopardi, sono tornata a leggere le tue poesie.

Ho avuto la tentazione di saltar All’Italia, pomposa e ampollosa fuor di misura ma, dato che non avevo nessuno a giudicar il mio modo di leggerla, mi ci sono soffermata e, dove proprio non ce la facevo con la lettura silenziosa, ho cominciato a sussurrarla a mezza voce.

Non so leggere in metrica, né saprei il modo corretto per declamar una poesia però, devo proprio ammetterlo, per un attimo mi è parso di sentir l’intensità emotiva che ne traspare e l’immagine della tua biblioteca, giuntami anni or sono, riprodotta su una cartolina spedita da Recanati, ha assunto significato.

Superato il primo scoglio, sono arrivata al Primo Amore e ho provato una malcelata tenerezza quando ho avuto sotto gli occhi la prima terzina:

“Tornami a mente il dì che la battaglia
D’amor sentii la prima volta, e dissi:
Oimè, se quest’è amor,com’ei travaglia”.

Ho ritentato con la lettura ad alta voce, su richiesta di un’amica che per te prova una sincera ammirazione. Mi sono vergognata, non riuscivo a proseguire. Come ti ho scritto, non so declamar poesie e lesta mi sono rifugiata nel silenzio della mente.

Ci è mancato pochissimo per riuscire a sentirla, libera da analitiche rielaborazioni e dall’obbligo di dover per forza rispondere al perché di ogni tua scelta, anche solo di un apostrofo.

Ho pure fatto pace con l’Infinito. Per la verità, non ho mai avuto nulla contro questo componimento anzi, sotto sotto l’adoravo pure io e aspettavo, paziente, i versi finali. Secondo me hanno un qualcosa di magico, se li pronuncio più volte, quasi riesco a veder l’immensità di cui parli. È lì, proprio di fronte a noi ma, se si osa alzar la mano per sfiorarla, ecco che scompare. Sì, so che da te ero già stata avvisata fin dall’ermo colle, però non sono riuscita a fermar questo mio desiderio di far almeno un tentativo. Prima di arrivare alla conclusione…

“Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Ma all’Infinito, in questo istante, preferisco di gran luna La sera del dì di festa. È perfetta per chiudere il ciclo dei festeggiamenti appena trascorsi e questa mia epistola a te rivolta.

Non voglio ricopiarla tutta, solo il passaggio più significativo perché non esistono altre parole per sentir ciò che io sento ora e che tu hai messo per iscritto quasi 200 anni fa (decade più, decade meno):

“E fieramente mi si stringe il core,
A pensare come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia”.

Con affetto,
una lettrice.

P.S. Caro Leopardi, convengo con te che tutto passa e posso anche far pace con il fatto che, attraverso il lauro, hai raggiunto l’immortalità. Ma non potevi lasciarti sfuggire un barlume di ottimismo? Sarebbe stato di enorme conforto…

You Might Also Like

1 Comment

  • Reply Bruna Athena 29 Marzo 2016 at 20:32

    Sono malinconica e profondamente pessimista: è il mio poeta! Ti consiglio di guardare il film Il giovane favoloso: c’è un Leopardi molto più “ribelle” e decisamente meno rigido di quello che ci ha passato la storia della letteratura fatta a scuola 😉

  • Leave a Reply

    error: Content is protected !!
    %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: