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Lavorare in libreria: gioie e dolori

21 Marzo 2016
Lavorare in libreria: alcune tipologie di lettore

Lavorare in libreria è un sogno ricorrente per la maggior parte dei lettori e di chi ama i libri in generale.

A febbraio ho lavorato in una libreria e, per un mese, ho rivissuto le gioie e i “dolori” di un’esperienza professionale che avrei voluto non finisse mai. Così, apro la settimana con una vena nostalgica, ma senza rimpianti.

Curiosi di sapere cosa vuol dire lavorare in libreria?

Lavorare in libreria: dolori

Immagine via Pixabay

Lavorare in libreria: i dolori

C’è un libro molto interessante su questo argomento e che lessi all’epoca della mia prima esperienza lavorativa nel settore libraio. Fu pubblicato nel 2006, si intitola Vendere l’anima e l’autore non è un libraio qualunque ma IL libraio, Romano Montroni. Un libro che conservo con cura e sul quale avrei voluto basare il sogno, ormai abbandonato, di aprire una libreria tutta mia.

Perché ho abbandonato questo progetto? Perché mi sa che non siamo più ai tempi descritti da Montroni quando, per fare il libraio, era “sufficiente” avere passione, una buona dose di cultura e tantissima voglia di fare. Vendere l’anima, insomma.

Adesso come adesso le librerie sono diventate nulla di più che negozi che puntano sulla smerciabilità di pochi titoli i quali, magari, non hanno un grandissimo valore letterario ma funzionano bene in quanto prodotti di consumo e che lasciano il tempo che trovano.

Mi spiego, se prima il librario era una figura simile al bibliotecario e appariva al possibile acquirente come un dotto saggio al quale rivolgersi per scegliere la tappa, la via migliore per accedere allo scibile umano e, di conseguenza, arricchire la propria anima ora non è altro che un commesso al quale non si chiede un’opinione né, tanto meno, gli è necessaria una certa preparazione culturale. Il suo compito è riempire gli scaffali di prodotti, di attendere la scelta del cliente e di concludere una transazione commerciale priva di sentimento ma assolutamente in linea con le offerte del mercato.

La figura del librario si è ampiamente ridimensionata e la sua aura di veicolo culturale si è attenuata rimanendo, forse, ancora agganciata al ruolo del bibliotecario vero e proprio.

Meglio un disciplinato commesso formato solo per seguire le mode del momento. Se egli stesso non è un lettore, non è importante perché l’amore per la conoscenza è soggettiva e, non essendo quantificabile economicamente, non è vendibile. Si può solo condividere attraverso il dialogo e il rapporto di fiducia che si instaura tra lettori e questo è un percorso che richiede tempo, dannosissimo per gli introiti immediati. Insomma, si è arrivati a capire come vendere perdendo però di vista l’anima del libraio, equiparato a un normale commesso, facilmente sostituibile. Alla persona è stato sostituito un numero.

Oltre alla visione poco corretta che si ha del commesso librario come dolore si aggiunge anche l’idea comune tra gli amanti dello shopping che i soldi spesi in un libro siano soldi buttati via e questo è molto triste. Qualsiasi cosa si compri seguendo il moto delle passioni non è mai uno sperpero perché i libri narrano l’uomo, la sua capacità d’immaginare e di indagare nei luoghi più oscuri del proprio animo. D’altronde, de Sade non diceva forse che non esiste cosa più complessa e affascinante del cuore umano?

Un altro dolore è la convinzione che il libraio, sostanzialmente, non lavori ma si occupi a passare il tempo a leggere e a chiacchierare con clienti e colleghi. Come se passare il tempo in questo modo sia una perdita di denaro quando, in realtà, sono azioni che fanno stare bene.

Se ci sono delle mansioni da svolgere e portare a termine, sono sicuramente di tutto riposo. Tanto la schiena non risente delle ore passate in piedi, degli scatoloni da smistare, spostare, incolonnare o dei libri da distribuire e collocare.

Né c’è il rischio che la mente si inceppi nell’assorbire tutte le trame raccolte nelle nuove uscite, nel ricordare dove sono e a quale genere appartengono i titoli esposti e da esporre, nello scegliere quali tenere e quali mandare in resa (perché lo spazio è esiguo e le parole, anche su carta, viaggiano veloci e veloci si rinnovano). In fondo, il cervello è allenato solo per accontentare le richieste del pubblico, cosa sarà mai acquisire simili competenze per far in modo che il pubblico stesso se ne vada soddisfatto?

No, lavorare in libreria non è facile, è un compito complesso, articolato e il più delle volte anche stressante. Tuttavia, questa dolorosa sensazione di mancato riconoscimento del valore umano del  del libraio è attenuata anche dalle gioie provenienti da questo mestiere.

Lavorare in libreria: gioie

Immagine via Pixabay

Lavorare in libreria: le gioie

Il tempo trascorso dalla consegna delle mie esperienze lavorative all’assunzione, sommate a quelle pregresse (per quattro anni ho lavorato in una libreria di catena) potrebbe essere vissuta come un dolore ma per me non è stato così.

A livello logico, questo lungo frangente temporale non fa altro che confermare quanto sia complicato il settore librario e, di conseguenza, anche quello editoriale mentre, sul piano emotivo è lusinghiero.

Vuol dire che il curriculum è stato letto e conservato perché nella vita non si può mai sapere e a tutti può essere concessa una seconda occasione. L’opportunità di dimostrare che hai l’esperienza necessaria per vendere l’anima, senza condannarla.

La mia seconda opportunità è durata solo un mese? Pazienza, è stato un mese in cui ho potuto conoscere i miei colleghi e ascoltare le loro storie sulle vicissitudini dell’ambiente di lavoro nel quale operano e che non hanno mai smesso di amare diventando, per i clienti, delle vere e proprie istituzioni.

Per me, lavorare in libreria è come entrare in un parco giochi per l’anima. Qui ho letto tutto d’un fiato Il misterioso caso del cane ucciso a mezzanotte e ho riscoperto l’emozione di tirar fuori dalle scatole le nuove pubblicazioni. In particolare i libri per bambini e, andando nel dettaglio, sono fantastici quelli di Geronimo Stilton. Quelli con le pagine profumate e anche quelle puzzolenti, testarne l’esperienza tattile e uditiva forse non è un comportamento professionale ma è troppo divertente da fare e la stessa cosa accade anche con i libri destinati le persone adulte per le quali hai ordinato un libro a cui tengono particolarmente o anche solo commentato un lettura in comune, trovandone pregi e difetti.

Quando un lettore si avvicina alla cassa con un testo sfogliato dal libraio in precedenza ci si sente un po’ come il signor Coriandoli de La Storia Infinita perché il libraio non è altro che il portiere che ti indica gli accessi verso svariati mondi, non sei costretto a restituirgli le chiavi né ti impone il silenzio quando vai a trovarlo, come accade con il bibliotecario.

Ed è questa la gioia più grande del libraio, vendere l’anima è credere nella magia dei libri senza perdere il contatto con la realtà e se il lettore torna comprende che non compra qualcosa per riempire gli scaffali di casa ma per investire sul rapporto di fiducia e rispetto intellettuale che si viene a creare.

Anche se il mio contratto non è andato oltre al mese, questa gioia e questo modo di interagire non mi ha abbandonato e cerco di incanalarla su questo blog, di trasmetterla a te, che mi leggi.

Ci sono riuscita?

Photo Credits: immagine in evidenza via Pixabay

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5 Comments

  • Reply Rocco Iannalfo 21 Marzo 2016 at 8:59

    Che bello! Mi sarebbe sempre piaciuto lavorare in una libreria, anche per un solo mese!

  • Reply vanessa 7 Luglio 2017 at 10:56

    Grandissimo resoconto!
    Io personalmente lavoro in libreria da 23 anni ed è inutile dire che amo i libri, tu sei veramente una grande perché in un solo mese di lavoro hai capito come purtroppo funziona il sistema .
    Vanessa

    • Reply Rita Fortunato 7 Luglio 2017 at 23:34

      Grazie, Vanessa!
      Caspita, ne hai viste e ne conosci tanto più di me! Mi viene voglia di subissarti di domande! Il tuo riscontro è molto prezioso e mi piacerebbe conoscere meglio il tuo punto di vista. 🙂

      P.S. Per la verità, avevo già lavorato in un’altra libreria per quattro anni ma ero più piccola e tante cose le ho capite solo nel periodo di tempo a cui si riferisce questo post. Più che grande, sono stata fortunata. Mi sarebbe piaciuto tanto proseguire e imparare di più, ma sono contenta lo stesso (anche perché mi sono portata a casa tantissimi libri nuovi da leggere! 😛 )

  • Reply Sara 20 Ottobre 2017 at 16:59

    Piacerebbe molto anche a me poter lavorare in una libreria , ma finora non ho avuto molto fortuna, trovare un lavoro per cui tu abbia delle specifiche competenze non è affatto facile. Io però sono una che impara con l’esperienza, mi basterebbe poter lavorare direttamente sul campo per poterle acquisire

    • Reply Rita Fortunato 20 Ottobre 2017 at 17:43

      Ciao Sara,
      hai ragione. Spesso si impara sul campo, facendo. Proprio per questo non si finisce mai di imparare.
      Ho avuto fortuna e mi piacerebbe tornare a lavorare in libreria o, chissà, magari aprirne una. Non sa sa mai, nella vita.
      Nel frattempo, mi dedico ai libri e sorrido contenta se qualche lettore mi scambia per una delle commesse che lavorano nella libreria in cui mi rifornisco. Ci vado spesso e sono molto brave tutte le ragazze che vi lavorano, mi sento di casa. Anche se rimango cliente. 🙂

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