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Lettera allo scrittore Pier Paolo Pasolini: frammenti di pensiero

1 Marzo 2016

Ed eccoci a martedì con il canonico appuntamento settimanale dell’iniziativa promossa da Bruna Athena e, oggi, la Lettera allo scrittore va a Pier Paolo Pasolini

#LetteraAlloScrittore: Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, immagine via web

Caro Pier Paolo,
confesso di essermi fatta non pochi scrupoli nel formulare questa missiva. Tempo fa ti ho citato nel post intitolato Leggere pensando a punti di fuga, prospettive e chiacchiere online.

Doveva essere solo un vago accenno alla tua personalità che, con la tua violenta dipartita, si è tramutata in mito. Qui invece mi trovo costretta a cercar di formulare un discorso sensato, quanto più possibile colto e critico ma questo intento è già perso in partenza. Ti ho spesso sentito nominare, sia all’interno sia all’esterno delle aule scolastiche. Ti ho studiato, più o meno seriamente, negli ultimi anni universitari. Eppure, rimani per me un intellettuale sfuggente e ingombrante allo stesso tempo. In più, mi secca rilevare che ancora ci si divide tra devoti estimatori e critici spietati (e anche un po’ ottusi) delle tue opere ma quello che mi pesa di più è la coscienza di essere disperatamente ignorante, malgrado gli studi fatti.

Alle superiori le mie coetanee, quelle un po’ secchione e sempre presenti a ogni assemblea studentesca (che io prontamente abbandonavo alla prima ora preferendo gironzolare per la città) leggevano Ragazzi di vita, Una vita violenta, le tue poesie in friulano e i tuoi film più controversi come Salò o le 120 giornate di Sodoma e Uccellacci e Uccellini. E si esaltavano studiando la storia d’Italia degli anni Sessanta, desiderosa di dare un taglio netto con il passato e applicare i dettami dell’ideologia comunista. Un’utopia politica e umana alla quale sei sempre stato fedele, pur essendo stato cacciato dal partito. Quanto mi sentivo ignorante allora e quanto mi sento così ancora adesso, pur essendomi accostata più volte alle tue opere, alla storia della tua vita.

Ho letto Ragazzi di vita e visto spezzoni del secondo film citato in questa epistola. No, non ho visto le 120 giornate di Sodoma, so già che non ne avrei la forza e per quanto tu possa essere stato chiamato a rispondere di quelle che erano la libera espressione della tua creatività, per quanto tu sia stato attaccato per la tua omosessualità e per le tue idee politiche, per quanto fango sia stato gettato su di te e su tutto quello che da te proveniva, non ho mai desiderato colmare questa lacuna. Di violenza e analisi del male e della miseria umana ce ne sono in abbondanza, anche di questi tempi. Non mi andava né mi va di avvelenarmi l’esistenza.

All’università, dopo tanto Petrarca (è come se nel mio percorso di studi ci fosse solo lui. Di altri autori contemporanei se n’è parlato poco e quel che conosco è perché ho ampiamente attinto alle biblioteche di parenti che hanno intrapreso la carriera dell’insegnamento mentre io preferisco schivarla, come le assemblee alle superiori) ho incontrato il tuo Passione & Ideologia. Mi prese il panico. Tu non eri un uomo colto ma un intellettuale profondamente erudito e con una capacità di analisi non umana. In quest’opera hai parlato di autori dialettali con una tale naturalezza e competenza da farmi temere la bocciatura e mi vergognai di appartenere ad una generazione nuova la cui preparazione culturale non è minimamente paragonabile a quella che veniva impartita ai tuoi tempi. Così lessi Passione & Ideologia con tutta l’attenzione di cui ero capace e, quando credevo di essere preparata ad affrontare un discorso su di esso… non passai l’esame. Non avevo letto Scritti Corsari, maledizione!

Ho rimediato e la lettura del testo mancante mi ha mostrato la parte di te che preferisco e quella che più mi spaventa. Non eri solo colto e segnato da una disperata vitalità, non solo hai seguito e vissuto con una sensibilità fuori dal comune le tensioni e il dolore di una società frantumata, strappata a sé stessa e per questo perduta ma, in tutto quel marasma di idee e emozioni sapesti vedere oltre, sapesti prevedere con inquietante precisione dove saremmo andati a finire.
È inutile girarci tanto intorno. In un mondo di chiacchiere, sei stato l’ultimo vero intellettuale italiano capace di usare le parole dando loro un senso e un’analisi concreta, precisa come la lama di un rasoio.

A volte mi domando, come saresti se tu fossi ancora vivo? La tua critica sensibilità sarebbe rimasta intatta o anche tu saresti scivolato in una fase di apatico disincanto? Mi sa che non avresti accettato un simile logoramento del tuo intelletto e la morte (terribile) che ti ha stroncato non ha fatto altro che salvarti per tempo dal declino da te profetizzato.

Sapevi già che il tempo delle ideologie era ed è finito e che stava giungendo quella della globalizzazione. Nel secondo caso, non sarebbe un livellamento culturale lontano dal concetto di uguaglianza che forse, in cuor tuo, auspicavi e questo ti avrebbe molto probabilmente fatto morire dentro. La tua brutale uccisione il 2 novembre del 1975 ti ha (ironia della sorte) in un certo senso salvato, rendendoti immortale.

A proposito, superai dignitosamente la seconda prova d’esame ma la soggezione che provo nei tuoi confronti non è svanita.

Mandi Pasolini,
una lettrice ignorante.

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