Scrittura creativa

Pausa Racconto: la preda

25 Febbraio 2016
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A volte, in un mondo di cacciatori e cacciati, si crea un attimo di confusione per poi rendersi conto che la consapevolezza di sé avviene anche tramite la consapevolezza dell’altro.

La preda è uno dei miei racconti preferiti perché è nato da un sogno frammentato, illogico e indecifrabile e, da esso, ho cercato di costruire una piccola trama, una storia da seguire.

Chissà se ha anche una morale. Questo spetta a te stabilirlo.

Pausa Racconto: Preda

Il profumo del muschio si alza denso dall’umido sottobosco e raggiunge le sue narici.

Gli occhi chiusi, lentamente, si aprono e guardano fuori dalla tana. Le grandi orecchie si muovono all’udire il fruscio delle foglie, mosse da una leggera brezza estiva. Sembra tutto tranquillo ma, all’improvviso, sorge un rumore inatteso. Qualcosa o qualcuno si avvicina. Sua madre? È forse tornata dopo averla rimproverata e scacciata via? I passi sono lievi, come quelli di lei.

#UnoScrittoAlMese: Preda (immagine di paroleombra.com)

Quasi impercettibile la creatura indefinita si sposta tra le ombre le le macchie di luce che punteggiano la vegetazione. Si ferma, è vicina e l’odore non è quello della madre. Si allarma ma resta immobile, fino a quando non si decide di metter pian piano il muso fuori dalla tana. Ancora due salti ed è fuori. No, lo straniero non se ne è andato. È dietro le sue spalle, annusa ancora l’aria frenetica e poi si volta. Due occhi gialli, a pochi centimetri dai suoi, la scrutano. È un lupo, non ringhia e la osserva attenta. Che fare? È un predatore pericoloso e il suo manto nero spruzzato di peli grigi qua e là rivela quante volte ha visto le stagioni alternarsi. Ha cicatrici, tante. Lei è spaventata, non vuole essere mangiata. Carica il peso sulle robuste zampe posteriori e via, fugge zigzagando fra gli alberi. Il lupo le corre appresso, appare e scompare dalla sua visuale mentre lei continua a correre impazzita.

Gli alberi scompaiono, davanti a lei si apre un ampio spazio aperto e, ancora più lontano, un torrente e campi di granoturco sull’altro versante. Potrebbe nascondersi là. Decide di proseguire in linea retta, il lupo alle calcagna. È quasi al confine del campo, le rocce nascondono le acque del torrente. È stanca, non ha più voglia di scappare. Individua un masso e corre ancora più forte verso l’ostacolo, ci si lancia letteralmente. Sente la superficie dura e fredda sui polpastrelli delle zampe, il suo corpo si appiattisce per poi sbalzare all’indietro e, girando su sé stessa, atterra con tutti e quattro gli arti. Il lupo è di fronte a lei, a pochi metri di distanza, echeggia nell’aria un suono basso e profondo che incute timore. Mamma? Non ne sente l’odore. Sono solo lei e il lupo. Allucinazioni uditive? Il lupo la guarda, ha una strana espressione negli occhi, sembra quasi preoccupato. Inclina la testa, flette leggermente le orecchie, si alza. Ecco, ora mi attacca! Pensa lei. Invece la sua minaccia si gira e, con calma, riprende la strada verso il bosco.

#UnoScrittoAlMese_la preda

Che cosa è successo? Eppure mi ero arresa! Perché se ne è andato? Allibita segue le tracce lasciate dal predatore, conducono a dei cespugli poco distanti dalla sua tana. Al di là di essi sente dei piccoli tonfi accompagnati da uggiolii. Che ci sarà dietro queste fronde? Trova un varco e vi infila la testa e la scena che le compare la lascia ancora più perplessa. Due lupacchiotti salutano festosi il suo inseguitore. Non è un lupo ma una lupa. Le lunghe code spazzano l’erba novella della radura. La madre saluta i suoi piccoli poggiando il muso consumato dalle battaglie per la sopravvivenza sui loro, ancora privi dei segni dell’esperienza.

Si adagia su un fianco e i cuccioli, irruenti, le si strusciano addosso scodinzolanti per poi accoccolarsi sereni sul suo grembo. La lupa veglia su di essi e sa di essere stata seguita. Guarda dritto verso di lei che, colta in fallo, si irrigidisce. Le orecchie della predatrice si girano all’indietro, le zampe si posano sulla prole. È un invito, non ad entrare ma ad andarsene.

Avrebbe potuto uccidermi! Perché non l’ha fatto? La mia carne avrebbe nutrito i suoi piccoli. Pensava avviandosi in un altro punto del bosco, verso una cascatella. Sua madre la portava là quando voleva riposare. Ad entrambe piaceva quella fonte d’acqua, al termine della giornata la luce che filtrava attraverso il liquido trasparente collaborava alla formazione di tanti piccoli arcobaleni. Era da tanto che non vi tornava, quel luogo, per quanto bello, la faceva sentire sola. Capì di essere ormai nelle vicinanze quando lo sciabordio si fece più intenso e la vegetazione più verde. Un altro perimetro di rocce, alla prima fessura vi si infilò. Eccola, una striscia d’acqua spumosa scendeva violenta dall’alto per poi tuffarsi nel laghetto sottostante.

#UnoScrittoAlMese: Preda (immagine di paroleombra.com)

Il diametro del bacino era un po’ diminuito rispetto alla sua ultima visita e una sottile lingua di sabbia si disponeva tra le sponde e il cerchio roccioso. Il lago non era chiuso, l’acqua in eccesso filtrava in un fiume sotterraneo e risaliva in prossimità della radura dove, guarda caso, si era stabilita la lupa con i suoi cuccioli. Era ancora nei suoi pensieri. Si avvicinò per bere e scorse riflessi un altro paio di occhi gialli. Spaventata, balzò nuovamente all’indietro e si guardò attorno. Nessuno. Le sue orecchie non percepivano alcun movimento sospetto. C’erano impronte sulla sabbia, parevano quelle di un felino. Combaciavano con le sue zampe. Le guardò attentamente. Avevano la forma arrotondata, più grosse rispetto a quelle di una lepre e ricoperte di una morbida peluria maculata. Tornò a guardare la sua immagine riflessa. Muso rotondo, occhi gialli, orecchie a triangolo sormontate da un lungo pennacchio scuro. Le sembrava di aver piume sulle orecchie. Mosse le vibrisse.

Sono una lince? Com’è possibile? Con una zampata schiaffeggiò l’acqua ma l’immagine frammentata tornava a ricomporsi proponendo sempre lo stesso risultato. Il ritratto di una giovane lince. Continuò a inveire sulla superficie del lago, sfoderò inconsapevolmente gli artigli che urtarono qualcosa. Che ho combinato adesso? Un pesce si dibatteva sulla riva spargendo scaglie dappertutto e poi, in mancanza di aria, smise di muoversi. Prima di spirare il suo corpo venne percorso da un riflesso contenente i colori dell’arcobaleno per poi dissolversi in un uniforme grigio argento. La lince lo osservò, un brontolio allo stomaco le suggerì cosa farsene della fortuita preda.

Era tempo di coricarsi e lei pensò ancora alla lupa. Il suo incontro le aveva lasciato un’impronta indelebile. Una traccia che ognuno lascia dietro di sé e che conduce a una dolcezza invulnerabile e vulnerabile allo stesso tempo. Un’essenza intima e spaventosa. Che la lupa avesse visto questa sua essenza? C’è chi fiuta tali impronte e chi le segue per semplice curiosità. Quel giorno due predatori si erano trovati e lasciati trovare. Si erano visti. Un ululato in lontananza.

La lince ascolta. Ha incontrato chi canta dell’ignoto e ora lei attraverserà, a passi felpati, la notte della sua solitudine.

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