La lettera allo scrittore di oggi va a John Steinbeck. A John Steinbeck. Che bel suono che ha la parola Steinbeck, suadente e netto allo stesso tempo.
Suggestioni sonore a parte, si capisce che forse sono un momentino agitata per aver osato scrivere qualcosa a John Steinbeck? Avrò fatto un discorso sensato nel ripercorrere il ricordo delle pagine che compongono Furore? Avrò interiorizzato abbastanza il senso e il contenuto di un romanzo americano, realista, che ha vinto il premio nobel per la Letteratura nel 1962 ma che mantiene un’attualità e un’incisività impressionante?
Nel dubbio, scrivo questa missiva. Cerco di ricomporre domande e pensieri e, invio.
Caro John,
sarò breve.
In fondo ho letto un solo libro tuo ma, forse il più importante e quello che ti ha consacrato negli archivi della memoria perpetua, Furore. Da non confondere con L’urlo e il furore di Faulkner.
Mi sono sempre chiesta se tu e Faulkner non vi eravate per caso messi d’accordo per chi sa quale astruso motivo o se, semplicemente, oltre alla penuria di lavoro non ci fosse, in quel periodo, penuria di titoli distintivi.
Ti chiedo scusa per la battuta forse poco rispettosa, mi è sfuggita ma sono sincera nel dirti che il tuo romanzo, Furore appunto, mi colpì molto e, come con Jack Kerouac, compresi quanto non sia tutto oro ciò che luccica. Sogno americano compreso.
Patria delle opportunità, hai descritto un’America che tuttora continua a giocare sulle luci della sua immagine e di arginare, ad arte, le ombre che la attraversano. Ci sono falsità e ipocrisie, opportunità che sanno di truffa e legittimazioni che non stanno né in cielo né in terra ma che sembrano investite di potere divino. Un’America affascinante e multiforme, una terra che, personalmente, mi piacerebbe visitare ma sulla quale non so se avrei il coraggio di sostare a lungo come fecero un tempo gli emigranti provenienti da tutta Europa e, in particolare dall’Italia che, a guardare i vostri film, ha portato solo Mafia e spaghetti.
Furore mi ha colpito e mi è piaciuto, parola per parola. Mi auguro solo che sia stato da te scritto perché ne sentivi la necessità, non perché doveva appoggiare il New Deal di Roosevelt. Politica e Letteratura sono certamente nate e sviluppatesi di pari passo, a volte sono parse quasi fra loro complementari e interdipendenti ma, sarò ingenua, a me piace pensare che la Letteratura abbia comunque un margine di libertà superiore limitandosi ad analizzare la realtà senza però assumersi la responsabilità di cambiarla. Ad ognuno spetta il suo compito. Compito che viene meno alla famiglia di contadini da te descritta nel romanzo la quale, si trova ad essere soppiantata dall’introduzione di nuovi e moderni macchinari agricoli e strozzata dagli effetti economico e sociali del crack del 1929 o Grande depressione.
Ho seguito con crescente preoccupazione il viaggio della famiglia Joad che, dall’Oklahoma punta verso la California così come i disperati europei hanno attraversato l’Atlantico per sbarcare in America. Furore è una storia inquietante e terribilmente attuale. Capace di innestarsi non solo nelle voci di chi fu mirante ma, anche emigrante.
Sono passati diversi anni da quando ho letto il tuo libro, Steinbeck, ma sono ancora visibili le immagini di una famiglia che, pezzo per pezzo si sfalda, si crepa come avviene per la terra privata della frescura dell’acqua. Di come la preoccupazione e la paura di non aver la possibilità di procurarsi il pane pian piano declinano per lasciar spazio alla disperazione e alla rabbia più nera. Perché la miseria è ingiusta e l’ingiustizia determina rabbia la quale, con furore, distrugge e umilia il bene comune e fa perdere di vista quella che dovrebbe essere la dignità umana.
Che ci sia o meno la speranza in Furore non lo so ma, rispetto al 1929, ma sulla terra mortale poco o niente è cambiato. Le persone continuano a fuggire disperate, in cerca di un posto dove poter lavorare e crescere i propri figli. Dove poter vivere, in un sistema globale in cui sembra che la mattina ci si alzi semplicemente per sopravvivere a sé stessi.
Apro a caso il tuo libro e non c’è un punto in cui non riesca a vedere con chiarezza quanto hai dipinto a parole, con precisione millimetrica. Un po’ mi spaventi, John, per la lucidità della visione che scorre in Furore. Una visione ambientata negli anni ’20 ma capace di adattarsi a ogni epoca e mostrare tutte le implicazioni e contraddizioni del rapporto tra uomo e tecnologia. Mi spaventi e mi affascini in quanto narratore consapevole e cosciente, come come mi sembra leggere in questa frase:
“Anfanando in cerca di lavoro, arrabbattandosi per vivere, i nomadi aspirano sempre tuttavia al conforto di un modesto piacere, perché affamati anche di svago. Talora lo trovano nella conversazione.
E succede che negli accampamenti sorti qua e là sulle sponde dei fossi o sotto i sicomori o a ridosso dell’argine di un corso d’acqua il bravo narratore si faccia rapidamente un nome e, attorno a lui s’aduna nella luce morente dei fuochi serali la gente per sentirlo raccontare e contribuire, con la propria attenzione, alla bellezza dei racconti.” – John Steinbeck, Furore
Se tu fossi vivo, John, capiresti ciò che sto cercando di esprimere? Dovevi proprio scrivere il romanzo esistenziale per eccellenza e vincere meritatamente il premio Nobel per poi angosciare le generazioni future di tutto il mondo? Mostrare e narrare con un’efficacia e un’equilibrio perfetti e inarrivabili? Immagino di sì e, per fortuna, lo hai fatto. Vale la pena leggerti, rileggerti. Lasciarti da parte e poi scorgere nuove letture e citazioni a distanza di tempo, da una lettura all’altra seguendo la natura del caso, dicesi anche destino.
Ti trattengo a me, Steinbeck, attraverso l’unico romanzo che abbia mai letto di te. Mi arrovello in tutti i modi possibili per chiudere questa missiva. Non ci riesco e, di tutte le domande al lettore che si nascondono tra le righe della tua opera più famosa, la risposta è sempre quella.
Non è possibile trovare una conclusione a ciò che hai narrato, analizzato, amato o sofferto e quindi lascio andare questa epistola così com’è. Senza fine e nelle incertezze dell’essere umano alla continua ricerca di senso.
In fede,
una lettrice
N.B. L’idea di scrivere una lettera allo scrittore nasce per iniziativa di Bruna Athena la quale, a sua volta, ha appena inviato lettera alla scrittrice a Harper Lee.
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