Prima della fine del 2015 ho partecipato, con Un tailleur in cerca di borsa, a un simpatico gioco letterario lanciato da Vib – Spazio Vibrissae e intitolato Le storie dell’armadio. Purtroppo, ho frainteso la consegna e invece di consegnare un pezzo con un massimo di 300 parole, ne ho scritto uno da 2000…
Certo, ho rimediato operando un drastico taglio (trovi la versione abbreviata qui) ma, in fondo, la versione integrale de Il Tailleur in cerca di borsa non era poi così male e così ho chiesto ad Antonella Albano di fare una revisione e ora te lo ripropongo, nel giorno scelto per una pausa racconto.
Spero ti piaccia e ti faccia sorridere un pochettino, anche se è probabile che non sarà la versione ultima. 🙂
Pausa racconto: Un Tailleur in cerca di borsa
Non dovremmo lasciarci assalire dalla voglia di buttare tutto per rinnovare, insieme al guardaroba, la nostra esistenza. Piuttosto, questi residui del passato vanno sempre accettati con gioia.
Quello che conta è rendere alla moda anche un abbinamento che ha fatto il suo tempo e uscire di casa lasciandosi addosso la storia che è la nostra vita. Per questo, scegliere in particolare un indumento da raccontare è difficile, ma ecco affiorare alla mente il Tailleur della laurea che aveva accolto, nonostante tutto con garbo, quelle lacrime di gioia che sgorgano spontanee dopo anni di esami e studi. Lacrime di una persona che si era sempre vista un po’ ignorante e dura di comprendonio e che non riusciva ancora a credere di aver ottenuto un simile riconoscimento, accettato indossando, per l’occasione, un completo nuovo nuovo, capace di raccontare il raggiungimento di un piccolo traguardo culturale. Con quella livrea, eccola Dottoressa, sulla carta, nel mondo delle Belle Lettere.
Giacca leggermente stretta in vita e pantaloni a sigaretta. Leggera e liscia al tatto, la mise di laurea se ne sta ora nell’armadio, devotamente protetta dalla copertura di cellophane, come se fosse appena uscita dalla lavanderia. Non mancano le scarpette e la cintura abbinati. Con quest’abito sono stati affrontati diversi avvenimenti speciali, battesimi, matrimoni, serate eleganti, ma rimane indimenticabile uno sposalizio in particolare, quello di D., di cui il Tailleur è stato testimone d’eccezione.
D. è l’amica del cuore. Quella insieme alla quale sei cresciuta, tra litigi e risate, e per la cui sanità mentale nutri alcuni dubbi per il modo assolutamente pazzo e poco convenzionale con cui affronta il matrimonio, la maternità, l’amore e l’amicizia: buttandovisi a capofitto. Per una persona così, rispolverare il Tailleur fu d’obbligo perché è così bello che va indossato solo per i momenti veramente speciali. Fu così che venne tolto dall’armadio e condotto a casa della sposa, dovrei avrebbe passato una notte un po’ particolare.
Di solito, una futura sposa si occupa di organizzare i dettagli pratici del matrimonio scansionando i ristoranti, la disposizione dei tavoli e le loro decorazioni, dirigendo con occhio clinico un eventuale servizio di catering, scegliendo le bomboniere e facendosi prendere dall’ansia ogni due secondi netti. Con D. è stato un po’ diverso. Una volta arrivata, armata di sobrio ed elegante Tailleur, la modella la trovò intenta ad appendere palloncini bianchi sull’ingresso di un capannone, dall’alto della benna di un manitou.
Un classico esempio di sposa fai da te e per niente convenzionale. L’indumento da cerimonia poté constatare questa caratteristica soprattutto durante la notte quando, adagiato su una sedia in cucina, osservò i preparativi per il buffet del giorno dopo.
Sedute attorno al tavolo; sposa, cognata e amica della sposa avevano organizzato una vera e propria catena di montaggio. L’amica e indossatrice del Tailleur era l’addetta alla farcitura dei tramezzini, salsa rosa e gamberetti. Ingredienti che andavano disposti secondo un ordine preciso ma, a mezzanotte inoltrata, il suo neurone cominciò ad affaticarsi ed ebbe un momento di confusione.
Inforcato il barattolo dei gamberetti l’invitata fu redarguita dalla cognata la quale, con occhio di brace, domandò:
«E la salsa rosa?»
La forchetta, con i rosei crostacei raccolti, rimase sospesa a mezz’aria e il Tailleur si sgualcì tutto nel sentir la malagrazia con cui la sua proprietaria rispose:
«Eeeeh! Un momento. Che sia prima la salsa rosa o i gamberetti, il sapore rimane sempre uguale. Qual è il tuo problema?»
La diatriba non continuò. C’era un barattolo di olive snocciolate gigante da aprire, e, non si apriva. Alternativamente, due tenevano strette la base della confezione sigillata fin troppo bene mentre la terza tentava di svitare il tappo. Fu un’impresa a dir poco epica e quando ci si stava per arrendere e contattare (alle 2 di notte) un esponente del sesso forte, il barattolo divenne finalmente accessibile. Il ricordo del destino di quelle benedette olive rimane labile, ma non sarebbe parso strano sentire il ticchettio impaziente delle scarpe del Tailleur che continuava imperturbato ad osservare la scena dalla sua posizione privilegiata, desideroso, al limite, di esprimere un minimo di disappunto per la carente forza fisica della sua proprietaria.
Una volta predisposto il buffet e con in corpo una tanica di caffè, pietosamente offerto dalla suocera, l’abito trasse un sospiro di sollievo aspettandosi che la sua indossatrice, mezza addormentata, la sposa in bigodini e la cognata chiacchierona si dileguassero sotto le coperte ma, ci fu un imprevisto. Quando il Tailleur si rese conto che la sua mononeuronica padrona non aveva portato con sé la borsa, si accasciò, frustrato per la mancanza di organizzazione.Tuttavia, speranzoso, si tirò su dalla sedia e sbirciò nell’armadio delle borse, ricordandosi che la sposa era un’appassionata collezionatrice di borse e scarpe abbinate. Le ante si aprirono e cominciò l’indagine.
La prima borsa era di un giallo fluo con cerniere improbabili. Il Tailleur rifiutò un simile accostamento con malcelato snobismo. Venne poi la volta di una borsa lucida e verde acido, un borsone sportivo e una palla di un colore indefinito. L’abito cominciò a sudare freddo, arrotolandosi sulle gambe della sedia come se fosse sotto tortura mentre la punta delle scarpe occhieggiava la porta d’ingresso, in procinto di darsi alla fuga. La sposa e la cognata, ridevano mentre la disperata, priva di borsa, appunto disperava.
Ma la ricerca doveva continuare, doveva pur esserci una borsetta adatta. Sufficientemente sobria ed elegante che potesse accompagnare quel Tailleur così importante, il quale però stava cominciando a spazientirsi.
Quando spuntò fuori una micro borsa in jeans con cuore viola al cui interno ci stava, sì e no, un pacchetto mini di fazzoletti, svenne. Le braccia e le gambe rimasero per qualche minuto inerti sulla sedia presso la quale sostava e la sua aspirante modella, pietosa, attese il suo rinvenimento per poi riprendere la spasmodica ricerca. Il fatto che possano esistere borse non a misura di libro è uno shock non indifferente, ma in questi casi è necessario avere pazienza. Non sempre la moda si accompagna alla cultura o è sinonimo di sobrietà.
Inavvertitamente, la proprietaria del brunito completo, urtò qualcosa nel ripiano inferiore e crollarono a terra, rovinosamente, un numero illimitato di scarpe. Tra esse spuntò fuori un paio di decolleté semplici semplici, tinta beige. Un colore che poteva abbinarsi perfettamente al Tailleur che, alle 4 del mattino, appariva debole, sconfortato, privo di forze. Al che, all’amica della sposa, sorse spontanea una domanda:
«D.! Ma tu, per caso, ogni volta che compri una borsa ti preoccupi anche di acquistare le scarpe abbinate?»
«Certo che sì! Mai acquistare una borsa senza le scarpe dello stesso colore e stile».
Quelle decolleté beige erano perfette per il suo completo e, se c’erano le calzature doveva esserci per forza la borsa dello stesso colore e materiale. Si tuffò nell’armadio, spazio borse, con rinnovato vigore mentre il Tailleur, al lampo di genio della padrona, riacquistò speranza e incrociò le maniche con fervore.
A terra si formò una montagna di accessori di pelletteria da far invidia a un negozio specializzato. Mai vista una simile collezione. Poi spuntò fuori qualcosa di terribile: uno zainetto.
Dal fondo dell’armadio appariva beige con alcune aree marrone scuro. Al tatto però il materiale era morbido e peloso. Non vi erano strutture interne che rendessero riconoscibile la forma. L’amica capì che era uno zainetto per via delle bretelle per portarlo agevolmente in spalla e per la cerniera sul retro, la parte che si appoggia sulla schiena. Quando lo girò capì che era un orsacchiotto di peluche, che la guardava con i suoi occhietti neri e lucenti.
«Tieni ancora questo orribile zainetto peluche?» tuonò inorridita alla sposa.
Nel frattempo, il Tailleur stava per passare a miglior vita e si trovava a terra, in una posa stile Cold Case, Delitti Irrisolti. Fu in questo momento che entrò in scena anche la cintura del completo. Si tramutò in un serpente oscillante che, alla vista dell’orsetto, cominciò a sibilare e soffiare. La preda, cioè lo zainetto, rischiava di fare una brutta, bruttissima fine.
«Che cos’hai contro il mio bellissimo orsacchiotto? Ti ricordi che lo portavo ovunque?»
L’amica si ricordava quella “cosa” di dubbio senso estetico. La prima volta che la vide indossarlo era quando erano state a dormire in campagna, a casa dei suoi nonni materni. Avranno avuto dieci anni ed era una di quelle rare occasioni in cui potevano passare qualche giorno in compagnia, invece di qualche ora pomeridiana una volta ogni due settimane. Se andava bene. Era poi lo stesso zainetto che stringeva al petto quando, due anni dopo, andò a trovarla e non le rivolse la parola perché era convinta che le piacesse lo stesso ragazzo.
«Certo che mi ricordo questa cosa oscena. Ti dissi già dieci anni fa che era orribile e tu, per dispetto, te lo portavi dietro ogni volta che venivi a trovarmi.»
«Sono o non sono una vera amica?»
Espressione accigliata della modella, completo ko e cintura serpente attorcigliata su sé stessa, pronta a scattare all’attacco. Il Tailleur in fin di vita si rese conto che la situazione stava degenerando, un orribile zainetto a forma di orsetto lo avrebbe accompagnato in chiesa e né la sposa né la cognata della sposa riuscivano a capire il dramma che si stava consumando, a poche ore dalla celebrazione del matrimonio.
L’armadio era completamente vuoto, non c’era più speranza.
All’improvviso la sposa guardò il pavimento cosparso di accessori di ogni foggia colore e dimensione e gridò:
«Ne manca una!»
«Cosa?»
«Di borsa. Ce n’è una proprio nell’angolo in fondo all’armadio. La vedo da qui» disse, distogliendo l’amica dallo sconforto che provava contemplando l’orsacchiotto.
Era vero. Era avanzata una borsa, l’ultima speranza. Materiale: similpelle lucido. Colore, beige chiaro o tortora. Linea semplice e pulita. Forse non proprio a misura di libro ma capiente quanto basta per contenere le chiavi di casa, il portafoglio, un pacchetto di fazzoletti, il telefono, una penna e un piccolo block notes. Perfetta.
A quella vista la cintura serpente desistette dall’attacco mortale allo zainetto e tornò ad arrotolarsi su sé stessa, questa volta per dormire. Le scarpe, che si erano avvicinate alla porta d’ingresso per darsi alla fuga, si riposizionarono diligenti sotto la sedia, pronte per essere calzate. Il Tailleur resuscitò e tornò a sedersi composto e abbracciò teneramente in grembo la borsa appena rinvenuta, come due amici che si abbracciano dopo un litigio sapendo che, pur essendo diversi, si sono sempre voluti bene, quasi come fratelli.
Il Tailleur era pronto per farsi accompagnare da una borsa capace di farlo sentire veramente completo e di rendere onore al matrimonio che si sarebbe celebrato da lì a poche ore.
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