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Troppe chiacchiere e poco ascolto: vai da Momo che ti passa.

15 Gennaio 2016
Troppe chiacchiere e poco ascolto: vai da Momo che ti passa (immagine via Pixabay)

Ok, l’ho ammesso più volte; quando mi ci metto (nel 90% delle conversazioni) sono chiacchierona al limite del logorroico. Parola di Francesco Ambrosino e non solo.

Poi c’è stato uno scambio di opinioni con Cora di Social Muffin la quale mi ha fatto riflettere a tal punto che ho “sentito” il bisogno di buttare giù questo piccolo post. Non so cosa ne verrà fuori ma spero che tu abbia, come al solito, la pazienza di seguire le mie rocambolesche associazioni mentali.

Cora Francesca Sollo, Social Muffin

Cora Francesca Sollo – Social Muffin

Sono troppo chiacchierona, me ne rendo conto e ci sto lavorando

Questa è a grandi linee la frase scritta da Cora mentre stavamo conversando del più e del meno (ok, del numero di caffè mediamente consumato da una blogger iperattiva e dalla sottoscritta, mattiniera come Sid il bradipo) e che per lei è visto come un notevole difetto.

Un comunicatore di professione taciturno io non riesco a immaginarmelo e me ne sono uscita con questa constatazione:

“Il dono della chiacchiera è una dote per chi vuole comunicare per professione”.

Ora, io credo che Coretta abbia alzato gli occhi al cielo per questa mia visione idealista e superficiale della comunicazione. Mi ha fatto notare che nella maggioranza dei casi i chiacchieroni sono fuffologi o, come sono abituata a sentir dire io fin da quando ero piccola, tuttologi.

Preoccupata, ho specificato che i fuffologi e le loro chiacchiere fine a sé stesse svolgono l’antico compito di dar aria ai denti mentre il chiacchierone costruttivo è colui che sa anche ascoltare (quando serve e se si sta svolgendo una conversazione equilibrata e sensata). A questo punto, Cora ha candidamente ammesso di non saper ascoltare e che sta lavorando su questo.

A parte il fatto che trovo opinabile la sua incapacità di ascoltare le persone mentre trovo più verosimile una certa carenza a vedere sé stessa da una prospettiva meno critica, nell’esatto momento in cui è stata espressa ho sentito riaffiorare alla memoria un ricordo che risale ai miei 13 anni e che volevo condividere con te.

Non sono mai stata una persona dolce, paziente e particolarmente dotata di tatto con le persone che mi stavano sulle scatole a prescindere o con quelle che, sapendo del mio alto grado di irascibilità, mi provocavano deliberatamente. Rimbeccare e prendere le cose sul personale è nella mia indole e, malgrado il mondo virtuale mi reputi una persona “dolce”, so bene che non potrò mai annullare del tutto i miei difetti.

Quello di cui però sono sempre stata certa della mia personalità è di possedere un certo grado di sensibilità. Soffrivo (e ne soffro ancora) per le asperità del mio carattere e, nei momenti di lucidità emotiva, percepivo che gli scontri con i coetanei, il senso di inadeguatezza e la frustrazione di non riuscire a vedere o comunicare nessuna qualità in me non erano dovuti ai comportamenti altrui, ma ai miei e a quella che Cora chiama incapacità di ascoltare.

Storia di Momo di Michael Ende

Momo, immagine via Wikipedia

La scoperta di Momo e dei suoi occhioni sgranati

Come risolvere la fonte dei miei guai? Amplificati da un perenne impulso al bla bla bla?

Un punto d’inizio verso un percorso (anche doloroso) di miglioramento del mio carattere fu una conferenza organizzata per tutte le classi delle Scuole Medie Inferiori.

Per prima cosa, ricordo che la relatrice fece un discorso parecchio articolato su come un fatto può essere manipolato quando passa di voce in voce, di comunicazione in comunicazione.
L’esempio raccontava di un certo Marco che andava a casa della compagna di classe, assente da scuola, per portarle i compiti e finiva che la classe intera era convinta che il fanciullo le avesse portato un mazzo di fiori e si fossero fidanzati.
Capii grosso modo che ciò avviene quando non si ascolta il proprio interlocutore e si arricchiscono di dettagli non veritieri un’informazione recepita a metà. Ecco, queste sono le chiacchiere fine a sé stesse. Quelle in cui i fuffologi o tuttologi brillano innervosendo quelli che si trovano a doverle sentire, scartare e rielaborare con dati confermati per avviare delle chiacchiere costruttive e sensate, utili e ascoltabili.

Ma quando la relatrice si mise a narrare la Storia di Momo di Michael Ende (e ti pareva se non dovevano esserci di mezzo i libri) lo archiviai nella memoria convinta che, un giorno, avrei compreso. Lì c’era (e c’è tuttora) l’essenza stessa dell’ascolto.

Tutto quello che Momo faceva era di guardare il suo interlocutore con gli occhioni sgranati e questi, man mano che continuava a parlare e a sfogare tutti i motivi della sua infelicità sentiva su di sé quello sguardo partecipe che, all’inizio lo inquietava ma poi lo faceva sentire sempre più leggero, più in pace con sé stesso.

Solo alla fine la relatrice spiegò che questa sensazione di benessere era stata possibile grazie a Momo. La bambina non faceva altro che rivolgere tutta la sua attenzione al parlante, facendolo sentire ascoltato.

Semplice? Neanche un po’ ma, fattibile.

Cora passa tutto il tempo a filtrare informazioni su informazioni, mettendo al vaglio chiacchiere su chiacchiere per individuare un fatto da comunicare e per poi impostarlo per predisporre il destinatario all’ascolto. Insomma, chiacchiera per creare empatia tra gli altri e lo fa con passione.

Ma chi è Momo?
Momo è Cora, sono io, sei tu, siamo noi.

Perché? Perché la capacità di ascoltare non sta nel tacere quando chi è intorno a te parla ma nel ritagliarsi uno spazio di tempo per cercare la propria Momo interiore, raccontarle tutte le ansie e le frustrazioni della giornata (grandi o piccole che siano) e così alleggerirsi quel tanto che basta per sgranare gli occhioni e ritrasportare questa sensazione di benessere anche all’esterno, trovando i giusti tempi per passare dal silenzio alla chiacchiera.

Se poi pensi di non riuscirci, fai come dicevano gli abitanti della città senza nome raccontati da Michael Ende:

“Vai da Momo che ti passa!”

Dove trovarla? Momo è nell’aspirazione di essere migliori di quello che crediamo di essere. Quando diciamo a noi stessi che non abbiamo le qualità che ci attribuiscono e che, sotto sotto, desideriamo fortemente. Momo si materializza nel momento in cui lavoriamo per conquistarle e farle diventare parte di noi, assieme ai difetti. Momo la troviamo quando, un passettino alla volta, ci rivolgiamo a lei, per sentirci più leggeri.

Photo Credits: immagine in evidenza via Pixabay

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6 Comments

  • Reply Rocco Laurino 15 Gennaio 2016 at 9:04

    C’è sempre una parte migliore di noi da far emergere e come scrivi, spesso è grazie agli altri, all’ascolto e alla letture, che riceviamo gli stimoli giusti per passare all’azione e tirarla fuori.

    • Reply Rita Fortunato 15 Gennaio 2016 at 13:22

      Non sai quanto mi rincuora sentirti dire questo, Rocco Laurino. Ora come ora, ho proprio bisogno di credere a “c’è sempre una parte migliore di noi a far emergere” e mi sto impegnando un sacco su questo. Grazie. 🙂

  • Reply emmafrignani 15 Gennaio 2016 at 11:42

    Diceva Beppo Spazzino a Momo: «certe volte si ha davanti una strada lunghissima. Si crede che è troppo lunga, che mai si potrà finire, uno pensa. […] E allora si comincia a fare in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la strada non è diventata di meno. E ti sforzi ancora di più e ti viene la paura e alla fine resti senza fiato… e non ce la fai più…. e la strada sta sempre là davanti. Non è così che si deve fare.» Pensò ancora un poso e poi seguitò: «Non si può mai pensare alla strada tutta in una volta, tutta intera capisci? Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre soltanto al gesto che viene dopo. Allora c’è soddisfazione; questo è importante perché allora si fa bene il lavoro. Così deve essere. E di colpo uno si accorge che, passo dopo passo, ha fatto tutta la strada. Non si sa come…. e non si è senza respiro. Questo è importante».

    Il percorso del miglioramento di sé dev’essere, a mio parere, lastricato di comprensione, ascolto (di sé e, di conseguenza, dell’altro da sé) e flessibilità.

    • Reply Rita Fortunato 15 Gennaio 2016 at 13:23

      Sappi che ho appena comprato il libro! Ora non vedo l’ora di leggerlo! 😀

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