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Le feste son passate, rimane la fiera delle vanità

11 Gennaio 2016

Il titolo che ho scelto può sembrare un po’ polemico, ma non è così. Ho cercato di riassumere in pochissime parole ( e per me non è facile data la mia tendenza alla prolissità) la riflessione di oggi.

Le feste natalizie sono passate ma questo non vuol dire che con esse siano state messe da parte, assieme ad alberi e decorazioni varie, le piccole vanità che fanno parte della nostra personalità. Vanità che si rivelano anche in ciò che condividiamo attraverso i social e non solo.

Vediamo se riesco a fare dei collegamenti pertinenti, mal che vada tornerò a rileggere La fiera delle vanità di Thackeray.

Che cos’è la vanità?

Secondo il vocabolario è il:

” fatuo compiacimento di sé, che nasce da un’alta considerazione dei propri meriti veri o presunti, unito al desiderio di essere lodato e ammirato”.

Ed è al desiderio di essere lodato e ammirato che vorrei collegare il post Perché condividi il pranzo di Natale? di Monia Taglienti la quale ha precisato che:

“Il fatto stranissimo è che non si gode del momento e si pensa a fotografare non per ricordo personale, ma per vanità”.

E io? Cos’avevo condiviso quel giorno? Un candelabro, modificato con i filtri Instagram. È in bianco e nero, con il contrasto amplificato a tal punto da farlo sembrare un disegno a matita. Sai quanti Like ho ottenuto? Si contano sulle dita di una mano e tuttora non so se andarne fiera (e crogiolarmi in una mia personale forma di vanità) o domandarmi come mai non ha ottenuto apprezzamento mentre scoppiava la like mania su immagini che ritraevano tavoloni imbanditi di ogni ben di Dio.

Le feste son passate, rimane la fiera delle vanità

In entrambi i casi, la cosa non mi ha sorpreso, anche se devo ammettere che mi sono sentita “diversa” a non condividere le prelibatezze messemi sul piatto. È che non ci ho pensato, ho seguito la pancia e mi sono completamente disinteressata alle conseguenti eccedenze di grasso corporeo che ho prontamente incamerato (uffa).

A stomaco pieno mi sono poi ricordata della protagonista de La fiera delle vanità di Thackeray, Bechy Sharp. Nello specifico, mi è venuta in mente la scena finale del romanzo quando l’astuta arrivista nascose un sorriso divertito.

Becky non è un personaggio positivo ma nemmeno il contrario. Semplicemente è un essere umano con un talento molto particolare. È in grado di scoprire i punti deboli ovvero le vanità di tutti i personaggi che si avvicendano in questo classico (meraviglioso) della letteratura inglese. Una volta individuati, non si fa scrupolo ad usarli a proprio vantaggio per poi gettare le basi della sua brillante scalata sociale.

Ora, non posso raccontarti come andranno a finire le macchinazioni dell’ammaliante Sharp ma il passo che chiude il libro, te lo devo proprio condividere:

“Oh! Vanitas Vanitatum! Chi mai al mondo può dire di essere felice? E chi di vedere appagati i suoi desideri? E chi, se ottiene tanto, può affermare di essere soddisfatto? Suvvia, bambini, mettiamo via teatrino e marionette: la nostra commedia è finita”.

Thackeray: La fiera delle vanità

La fiera delle vanità di Thackeray

Che si tratti di vita reale o vita virtuale, nessuno è escluso da una certa dose di vanità. Mostrare l’abbondanza delle proprie case e i propri traguardi, personali o professionali che siano, non è una cosa brutta, sia ben chiaro, ma quando diventa un comportamento meccanico e monotematico, dopo un po’ stufa e subentra un altro messaggio e la percezione dei fruitori del web subisce una serie di distorsioni vanitose.

Più che di vanità, comunque, sembra che si viva in un’ansia di solitudine che porta la maggior parte delle persone a condividere ciò che li accomuna agli altri dimenticando che l’unione collettiva e l’appagamento individuale si ottiene proprio dalla presa di coscienza e dal coraggio di condividere le proprie diversità.

E anche se:

“La diversità non piace”.

è anche vero che si ha a che fare, lo stesso, con un’altra forma di vanità.

Spesso si confonde l’essere diversi con la convinzione di essere migliori degli altri, a prescindere dal riconoscimento collettivo. È in questa seconda vanità che cade, secondo me, l’avvenente Becky Sharp ne La fiera delle vanità.

Tuttavia, come esprime il passo tratto dal romanzo, la vita nel suo complesso è un immenso palco teatrale dove tutti noi ci muoviamo, alla conquista dei nostri desideri e aspirazioni. Una commedia dalla quale cerchiamo di uscire ma di cui facciamo comunque parte, che lo si voglia o no.

Credo che, per essere felici, basti rendersi conto che molto spesso non siamo altro che vanitosi attori di noi stessi e riderci sopra, ricordandoci anche ciò che dice Monia:

“Il coraggio di essere chi siamo, lontani da ciò che vogliono gli altri, si acquisisce con il tempo e con non poche delusioni”.

Chiudo dicendo che il mondo è bello perché è vario (o avariato, se vuoi una versione pseudopessimista) anche quando tanti si sforzano di essere tutti uguali. Tanto, alla fiera della vanità, non manca un ricco assortimento a tema tra cui scegliere.

Tu che ne dici?

Ah, dimenticavo, i dati del libro:

Autore: Thackeray
Titolo: La fiera delle vanità
Titolo originale: Vanity Fair
Traduzione: Maura Ricci Miglietta
Casa Editrice: Oscar Mondadori
Collana: Classici
Pagine: 872
Anno di pubblicazione: I ristampa Oscar Classici maggio 2009
Prezzo di copertina: € 11

Photo credits: immagine in evidenza via Pixabay

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