Con la Lettera allo scrittore di oggi devo ammettere che ero un po’ indecisa. L’iniziativa di Bruna Athena sta scatenando una tempesta onomastica di autori che faccio fatica a tenere a bada.
Dopo diversi giorni di battibecchi tra cuore e mente ho optato per la via dell’anima. Certo, una letterina anche a Herman Hesse ci stava ma preferisco andare indietro nel tempo quando, più o meno 15 anni fa (quanto vorrei che fosse più meno che più) ho incontrato LA letteratura russa.
Insomma, giusto per chiudere l’anno con leggerezza, la Lettera allo scrittore di oggi è indirizzata a uno dei più grandi e tormentati scrittori russi che siano mai esistiti, Lev Nicolàevic Tolstoj.
Caro Lev,
ti chiedo scusa per il tono forse eccessivamente amicale con cui mi rivolgo a te in questa mia ma, non posso fare altrimenti. Ne ho bisogno per controbilanciare il ricordo di emozioni forti, cariche di tragica tensione, emerse fin dal mio primo incontro con la tua narrativa.
Ti ho conosciuto a 16 anni, quando ho creduto di non essere capace di scrivere. La mia professoressa di italiano di allora tranciava con la penna rossa ogni singola sillaba e virgola dei miei scritti, giudicando senza scrupoli forma e stile, lasciando un blando e laconico “discreto” al contenuto. Tu certamente riderai di questa mia puerile “crisi” ma, per me, l’insufficienza nell’arte della scrittura era un’onta e uno smacco difficile da digerire. Perché credevo che scrivere fosse l’unica cosa che mi riuscisse bene in ambito scolastico oltre che l’unica via per lasciar trapelare una parte di me più bella ed emozionante di quanto non fosse in realtà.
Tuttavia, all’avarizia di voti alti della mia insegnante si accompagnava un’equilibrata generosità nel condividere i suoi libri alla classe, incentivando la lettura. Fu così che mi venne prestato il tuo Anna Karenina e leggerlo mi fece male, perché non solo vedevo la tua anima e quella dei tuoi personaggi, ma la sentivo. Non la capivo, ma la sentivo. E faceva male. Non mi affascinava la struttura del romanzo e l’inizio ripreso nella fine non è stato ciò che mi ha indotta ad acclamare la meraviglia letteraria che tu hai lasciato al mondo. Quello l’ho compreso dopo. Io ricordo solo che ero arrivata a circa metà della Karenina e piangevo come se avessi appena affettato una cipolla.
“Può un libro che parla di un tempo a cui non appartengo e di emozioni e sentimenti non ancora vissuti colpirmi a tal punto da farmi piangere a dirotto e obbligarmi a interrompere la lettura, per paura di non riuscire a sopportare ciò che accadrà ai suoi personaggi?”
Insomma, Lev. Ero un’adolescente. Avrei dovuto trovarti noioso e pesante e, invece, non rilevai nulla di tutto questo. Al contrario, mi parve di vedere la realtà umana nella sua profondità emotiva ed esistenziale più vera e fragile. Ti ho capito? Non credo ma so che ho avuto paura per l’intensità dei tuoi personaggi. Esseri troppo sensibili, troppo sfaccettati, troppo umani e troppo delicati per crederli in grado di resistere alle avversità della vita ma che, tuttavia, resistono nella disperata ricerca di una felicità che non proveranno mai, pur essendo capaci di sentirla nei suoi brevi attimi di luce.
Dolore, anch’esso è un’emozione, un prodotto del cuore che tutti, in diverse misure, siamo chiamati ad affrontare. Tu volevi descrivere il sentimento universale dell’amore e, leggendo Guerra e Pace, ho l’impressione che tu sia quasi riuscito ad avvicinarti al divino. Pur avendo a disposizione nient’altro che carta, penna e parole. Hai reso visibili i sentimenti, le relazioni complicate, i disagi delle classi sociali meno abbienti, le ipocrisie mascherate di buonismo. Tutta la natura umana e la tua indole tormentata ma incredibilmente lucida è incisa nei tuoi romanzi. La si vede e la si ascolta in ciò che hai scritto e in quello che non hai scritto.
Malgrado le tue opere siano velate (ma neanche tanto) di una certa misoginia, a me sono care perché se Oscar Wilde è stile e acume e se Dickens è razionale obiettività, tu sei l’essenza del contenuto. La troppa sensibilità però è un’arma a doppio taglio perché non puoi fare a meno di sentire, e di soffrire. Probabilmente, se tu non avessi vissuto il dolore in tutte le sue forme saresti stato un uomo banale ma felice ma il prezzo per un’esistenza serena sarebbe stata un’umanità di lettori interiormente povera e vuota.
Quindi, grazie per l’immenso dono che hai lasciato. Per quanto sofferto e per certi versi profetico, contiene un fondo di speranza per un mondo migliore. Migliore, non perfetto ma certamente più giusto di quello che hai descritto.
Con affetto,
una lettrice qualunque ( ma che preferisce tenersi a debita distanza dai treni).
P.S. A proposito, il tema che scrissi su Anna Karenina segnò la rinascita del mio andamento scolastico. Ma ormai, il voto in sé aveva perso valore.
2 Comments
Mi sembra che tu abbia colto proprio le caratteristiche di Tolstoj che, come ti ho già scritto, non ho letto, ma ne ho sentito parlare molto. Credo che leggerò Anna Karenina.
Grazie, sono sicura che ti piacerà! (P.S. Prepara i fazzoletti!)