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Leggere Loredana Lipperini e Questo trenino a molla che si chiama il cuore

14 Dicembre 2015
Loredana Lipperini e Questo trenino che si chiama il cuore

Santa Lucia è passata, è di nuovo lunedì e io sono qui, puntuale, a parlare del libro della settimana, Questo trenino a molla che si chiama il cuore di Loredana Lipperini.

Come durante la presentazione a Pordenone Legge, anche in corso di lettura le sensazioni provate sono state più o meno le stesse, anche se più intense perché, se nel primo caso erano vagamente percepite, nel secondo hanno trovato definizione e concretizzazione.

Arrivata alla “fine” di Questo trenino a molla che si chiama il cuore nella tarda serata di sabato 12 dicembre ho sentito il bisogno, come il giovane Holden, di scrivere in forma privata a Loredana Lipperini e dirle che andavo a dormire carica di immagini e ricca di pensieri. Poi ho promesso che avrei letto i suoi libri precedenti e quelli del suo eteronimo, Lara Manni.

I temi sottolineati nel corso della presentazione vertevano soprattutto sul progetto Quadrilatero e sull’eteronimo ma, nel libro, c’è molto di più.

Questo trenino a molla che si chiama il cuore

Questo trenino a molla che si chiama il cuore: l’impressionante cultura di Loredana Lipperini

Va bene, la giornalista con un passato di addetta stampa che da anni collabora per le pagine culturali de La Repubblica, conduce Fahrenheit e ha alle spalle diversi titoli pubblicati per case editrici di rilievo, deve per forza essere colta ma, per me, questa associazione non è poi così scontata.

Un conto è sapere le cose e un conto sentirle, conoscerle e soffrire per questo. La cultura non è un ammasso di nozioni da sfoggiare con vanità in una serata tra snob o per coordinare un salotto letterario in veste di intellettuale radical chic, ma è ammissione d’ignoranza e primo passo per avviare una ricerca obiettiva, fatta con il cuore e non solo con la testa.

Quando Loredana Lipperini elenca il passato glorioso delle sue terre e dei personaggi storici che hanno attraversato Serravalle, quando si concentra sulla toponomastica dei paesi vicini, quando elenca le leggende che ruotano ai confini tra le Marche e l’Umbria e corrono lungo la Statale 77 che ha molti, molti nomi lei non ha timore a dire, semplicemente:

“Non lo sapevo”.

E, all’ammissione di ignoranza colmata attraverso Questo trenino a molla che si chiama il cuore, si aggiunge anche il ricordo del suo desiderio di scappare, allontanarsi da Serravalle e dalla Val di Chienti. Una fuga giovanile dettata dal bisogno di ottenere qualcosa di più, di uscire dai luoghi e dalle usanze che credeva di conoscere a fondo perché non facevano altro che ripetersi all’infinito. Per costruirsi, trovare la propria identità.

La persona nozionista è conservatore di una cultura che non conosce mentre la persona colta è una persona che sperimenta, che cambia, che commette degli errori forse ma che poi torna sui suoi passi e, finalmente, comprende ciò che ha appreso nel corso del suo vagabondaggio. Almeno, è in questa seconda veste che mi piace immaginare Loredana Lipperini la quale, oltre che persona vera sembra proprio personificare il senso della canzone dei Nomadi, Io vagabondo:

“Io un giorno crescerò,
e nel cielo della vita volerò,
ma un bimbo che ne sa,
sempre azzurra non può essere l’età,
poi una notte di settembre mi svegliai
il vento sulla pelle,
sul mio corpo il chiarore delle stelle
chissà dov’era casa mia… “

La forte fragilità di una vagabonda vissuta in una terra di confine

C’è qualcosa di tragico in ciò che si fissa nelle pagine di Questo trenino a molla che si chiama il cuore quando Loredana parla del terremoto che, nel settembre del 1992, ha distrutto il luogo dalla quale è fuggita e alla quale ritorna. L’autrice racconta dov’era, cosa faceva, cos’ha provato alla vista della devastazione della sua terra natale.

Alle vicende degli abitanti della Val di Chienti si intrecciano quelle familiari della scrittrice e ai suoi ricordi. In questi passaggi mi è venuto spontaneo sovrapporre ciò che narrava a ciò che io, a mia volta, ho sentito dire del terremoto in Friuli nel ’76, quando i miei genitori erano appena dei ragazzini. Sono stata fortunata perché ciò che il libro descrive, io non l’ho vissuto ma solo ascoltato attraverso i ricordi dei miei, di familiari. Forse, è per questo che durante la lettura ho sentito il bisogno di fermarmi perché mi veniva da piangere o da commuovermi. Certe parole ti toccano senza capire perché. Le senti e basta e vorresti confortare quella voce che cerca di fermare il tempo per poter, se non accettare, sopportare un po’ di più il cambiamento in atto e l’ansia da velocità, progresso, appiattimento e rovina (con il progetto Quadrilatero) di un luogo ricco di colori, sapori, paesaggi e storie.

Loredana rivela una personalità forte e, insieme, fragile. Non si riesce a fare a meno di percepire questa sfumatura, questa sua sensibilità che, malgrado il “caso Lara Manni”, non teme di esporsi.

Il caso Lara Manni, l’eteronimo, il doppio e l’ignoto

La parte che riguardava l’eteronimo di Loredana Lipperini, Lara Manni, collegato con il concetto di dualità era quello che più mi incuriosiva.
Non esiste una natura, un luogo, una personalità con contorni e caratteristiche fisse. Tutto è sfumatura ma non per questo non è sincera e quando Questo trenino a molla che si chiama il cuore racconta quanto è accaduto a Lara Manni sono rimasta un po’ basita per la mancanza di tatto di chi reputa di essersi sentito tradito o ingannato dall’autrice la quale, chiusasi nel silenzio, qui risponde e inizia la ricerca di sé:

“Se non hai un nome, non sei.
Se hai un nome, sei come ti immaginano gli altri e, se vuoi essere quel che ritieni di essere devi cambiare nome, perché con un nome non ancora pronunciato sei in salvo, in quanto non nominandoti non ti conoscono, dunque non ti possiedono e non possono giudicarti.
per questo gli scrittori usano gli eteronimi, per paura, per protezione”.

Segue, a questa affermazione, un elenco di grandi scrittori che a loro volta hanno utilizzato un eteronimo. Ciò che però inquieta di più è il danno che i presunti critici e lettori “traditi e ingannati” hanno causato a un essere umano che ha creato un’altra visione di sé, ma non per questo, come ribadisce l’autrice, meno vera.

Alla storia della morte di una parte di sé che doveva rimanere ignota e non sbandierata in tutti gli angoli (se ve ne sono) del web si sovrappone anche la perdita di un’amica molto cara alla Lipperini, Chiara Palazzolo. La lettura poi scivola, e non per caso, in una carrellata di storie di donne e streghe, profetesse, sante, di miracoli e magie. Un flusso di pensieri che osserva il cuore, il respiro e il fascino delle terre marchigiane, viste come una sorta di balsamo per le vicissitudini narrate dalla sua nativa.

L’autrice racconta tanto di sé in Questo trenino a molla che si chiama il cuore, forse troppo perché non si può fare a meno di percepire quanto sia stato complesso e doloroso per lei seguire il percorso tracciato. E per questo va rispettata e ringraziata per la forza d’animo, la delicatezza e la testimonianza scritta lasciata. Nulla va dato per scontato, ma osservato tenendo ben presente che, quando si rileva un cambiamento nei moti del cuore e dei luoghi che lo rappresentano, qualcosa sta andando perduto.

La mia curiosità è stata, in parte, dissetata ma non ha colmato la mia inquietudine e la voglia di conoscere e leggere ancora ciò che è stato scritto sia da Loredana Lipperini sia da Lara Manni.

Che dire di più se non chiederti di leggere questo libro?

Autore: Loredana Lipperini
Titolo: Questo trenino a molla che si chiama il cuore
Casa Editrice: Editori Laterza
Pagine: 167
Anno di pubblicazione: novembre 2014
Prezzo di copertina: € 12

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