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Curriculum del libro: Moby Dick di Hermann Melville

23 Novembre 2015
#CurriculumDelLibro: Moby Dick di Hermann Melville

Buongiorno e buon lunedì. Purtroppo non ho ancora concluso una lettura della quale spero di poterti parlare al più presto.

Ci vuole tempo per leggere, tempo per rielaborare le informazioni immagazzinate e tempo anche per scrivere ed esporre il proprio pensiero. Cerco quindi di guadagnare tempo lasciando che siano altri a parlare di un libro di solito molto amato da alcuni partecipanti del Curriculum Del Lettore ma che a me non piacque affatto, Moby Dick di Hermann Melville.

Dopo Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway (con il quale mi sono riconciliata) ti ho creato un altro dolore ma, concedimi la possibilità di spiegarmi un attimo e di introdurre il curriculum del libro come ammenda.

Perché non mi piacque Moby Dick

Come ho già spiegato in Al mare con Stevenson e il Curriculum Del Lettore di Francesco Mercadante, Moby Dick è uno dei romanzi che non sono mai riuscita a leggere fino in fondo. Lo trovavo noioso, troppo dettagliato e cupo. Non arrivavo proprio a capire la fissa del capitano Achab per la balena bianca. Un uomo che cerca soddisfazione da un animale che non ha fatto altro che difendere il suo territorio e sé stesso dagli arpioni degli uomini di mare?

Se Moby Dick ha staccato un arto ad Achab, nella mia mente voleva dire che se l’era andata a cercare e il ritornare per mare seguendo un rancoroso spirito di vendetta era follia pura.

Sulla base di questo mio pregiudizio, la storia di Hermann Melville non mi convinceva e mi infastidiva un po’ leggere di un’umanità che cade nella sua arrogante credenza di poter sfidare la Natura pensando di poterla, alla fine domare. Convinzione condensata dalla figura del protagonista principale, il capitano Achab che, proprio per questo motivo, mi risultò subito antipatico. Ho chiuso il libro prima di seguire un’impresa che sapeva di disastro annunciato. Insomma, mi sono ammutinata prima ancora di imbarcarmi.

Detto questo, i gusti e le letture rimangono comunque soggettive e il curriculum del libro deve raccogliere anche quelle altrui, non solo le mie.

Moby Dick e il Capitano Achab

Il Curriculum Del Libro di Moby Dick, secondo Alessandro Borgogno

A farmi quasi venir voglia di dare una seconda possibilità a Moby Dick è stata la considerazione, molto ben argomentata, di Alessandro Borgogno il quale, partendo da Cuore di tenebra di Joseph Conrad, spiega quanto l’opera di Melville sia immensa:

« Cuore di Tenebra di Conrad mischiò di nuovo le carte in tavola, se mai erano state in ordine. Mi folgorò la capacità di raccontare gli avvenimenti della storia parlandone prima che accadessero e dopo che erano accaduti senza raccontarli mai al presente. Una lettura in sospensione continua dove capivo ciò che mi stava raccontando sempre in un momento diverso da quello in cui accadeva. Un virtuosismo che ancora non credo di aver compreso del tutto, e che non cessa di affascinarmi.

E poi doveva arrivare l’immenso, e l’immenso non poteva che avere la forma e le movenze di una balena bianca. Moby Dick di Hermann Melville è per me uno spartiacque (mai metafora fu così adatta). E lo è stato anche più di una volta. La prima volta lo lessi da ragazzo, in una versione ridotta per essere leggibile dagli adolescenti, insieme ad altri due splendidi romanzi di Jack London, Zanna Bianca e il Richiamo della foresta.

Mi impressionò e mi catturò in molte parti, probabilmente senza ancora capirne la gigantesca metafora e anche la profonda blasfemia (come disse John Huston, “tutta la storia è una immensa bestemmia”). Mi rimase impressa in mente (ancora oggi) una scena in cui tutti affacciati dal ponte guardano nell’acqua profondissima e limpidissima dell’oceano e ad un certo punto vedono la balena come un puntino bianco (alcune traduzioni dicono “come un piccolo ermellino”, altre “come una moneta bianca”) in fondo in fondo all’oceano. Una sola immagine che rende la profondità assurda di quel mare e la sua limpidezza quasi irreale. E poi la vedono ingrandirsi velocemente perché sta puntando in verticale verso la chiglia della loro nave. Una immagine che ti inchioda, pietrificato, in attesa di qualcosa di spaventoso da cui non puoi più scappare.

Lo rilessi da grande almeno un altro paio di volte, nella versione integrale, interminabile e per molti lettori ancora oggi ostica. E ogni volta è regolarmente stata una rivelazione. Vi ho sempre trovato l’urgenza di uno scrittore che doveva a tutti i costi raccontare quella storia, e per farlo non si preoccupava di mescolare i generi, addirittura separandoli come stesse scrivendo libri diversi.

Ad un certo punto parte con un lungo trattato sui cetacei che starebbe tranquillamente al suo posto in un libro scientifico. Eppure lo mette lì, in un romanzo di avventura (o che fa finta di essere tale). E poi dopo ti riprecipita nell’abisso togliendoti il respiro, e poi ti inchioda nel sole senza un filo di vento che possa far muovere la nave per giorni e giorni, in attesa.

Mai come in quel romanzo il senso dell’attesa, se possibile ancor più che in Conrad, è protagonista assoluto. Se esiste un santuario della suspense, quello è Moby Dick. Pagine e pagine ad attendere le apparizioni (perché di questo si tratta, di apparizioni) dello spaventoso cetaceo, per vivere poi pochi istanti di furia smisurata e poi ripiombare nell’attesa.

Implacabile, inarrestabile, è in quel modo che ti trascina dentro e non ti fa più dubitare di essere in balìa di un destino a cui non si può sfuggire. E poi naturalmente lui. Come si fa a concepire qualcosa di più, in ogni senso di più, di un personaggio come il Capitano Achab? Posseduto dal demonio, vittima e carnefice dell’intera umanità rappresentata in tutte le sue forme sul ponte del Pequod, trascinatore implacabile e distruttivo. Alla fine convince tutti a seguirlo nel suo disastroso destino. Tutti. Anche te».

Che ne pensi? Rileggere o non rileggere Moby Dick? A te la scelta. 🙂

Photo Credits: immagine a testo via web.

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