La lettura della trilogia dell’Adamo di Pazzo di Margaret Atwood volge al termine con L’altro inizio. Una fine che inizia e un inizio che non ha fine.
Ed è proprio vero che, quando concludi una lettura appassionante, si va incontro a tutta una serie di emozioni contrastanti. In genere, prevale la sensazione di abbandono e di spaesamento.
Vieni a scoprire perché?
Leggere La conclusione di MaddAdam, L’altro inizio
Nelle scorse settimane mi sono catapultata in uno scenario distopico introdotto da Jimmy alias Uomo delle Nevi e unico amico di Crake, lo scienziato pazzo per poi approfondirlo ascoltando le voci di Toby, Amanda e Ren, donne che fecero parte dei Giardinieri di Dio e quasi allegorie della triade Conoscenza, Arte e Amore.
Con L’altro inizio tutti i personaggi incontrati ne L’ultimo degli uomini e ne L’anno del diluvio si riuniscono e la rete intrecciata da Margaret Atwood prende forma per poi essere di nuovo disciolta per ricostruire un altro quadro, presente, di ciò che sta accadendo. A fare da voce è una coppia. Zeb e Toby.
Toby finalmente riesce a coronare il suo sogno d’amore con Zeb, malgrado la minaccia incombente dei Pinballer, uomini spietati e senza scrupoli che minacciano la pacifica comunità formatasi tra Giardinieri e Craker (gli esseri perfetti ideati dallo scienziato pazzo, non il cibo). Si ritrovano e, questa volta, la voce che campeggia lungo la narrazione è quella di lui, Zeb, il cui compito è di colmare gli spazi vuoti della storia mentre lei, Toby, si pone nel ruolo di ascoltatrice e portavoce presso i Craker.
Personalmente, il personaggio maschile non ha incontrato le mie simpatie. Forse perché, in corso di lettura, il primo contatto con la trilogia dell’Adamo Pazzo avviene attraverso i ricordi di Jimmy. È tramite quest’ultimo che avviene il primo processo di identificazione e, dato che Zeb si dissocia in più punti dal primo personaggio entrato in campo, addirittura sminuendolo, si crea una specie di allontanamento. È un po’ come presentare due cari amici e rendersi conto che non si piacciono ma si sopportano per il quieto vivere, oltre che per necessità.
A parte questa impressione che è personale e puramente soggettiva, L’altro inizio è anche una riflessione affascinante sulla scrittura, sull’atto di tramandare. Bellissimo il rapporto che si instaura tra Toby e Barbanera, un bambino Craker desideroso di imparare e che andrà a svolgere un ruolo fondamentale nella fondazione di una nuova società svolgendo il ruolo di ponte tra i resti di una Natura quasi interamente spazzata via e di una Natura geneticamente modificata, ma con i suoi propri equilibri.
Quando Barbanera chiede di essere iniziato alla lettura e alla scrittura, subentra un profondo dissidio interiore in Toby. Ha per caso gettato il seme di una prossima e futura distruzione?
«Ammesso che la lettura permanga, ci sarà in futuro qualcuno interessato agli atti di un oscuro e poi bandito e poi disperso culto religioso verde?»
L’accesso alla conoscenza e alla verità soggettiva, infatti, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio e, curiosamente, questa riserva emerge spesso e volentieri nel corso del romanzo. Perché si è consapevoli, parafrasando la citazione di un altro grande autore, Elias Canetti:
«Ogni parola pronunciata è falsa. Ogni parola scritta è falsa. Ogni parola, è falsa ma cosa c’è senza la parola…»
Eppure, è tramite la parola che si cerca di fissare il senso della vita o l’idea di identità e anima, al di là del corpo temporaneamente abitato. L’essere umano non può fare a meno di scrivere e leggere e raccontare perché, come dice Toby, pensando alla sua guida spirituale:
«La gente ha bisogno di storie simili, aveva detto ogni volta Pilar, perché, pur se oscura, un’oscurità popolata di voci è preferibile a un muto silenzio».
Malgrado le indubbie pecche che emergono quando si ha a che fare con le parole, scritte o parlate che siano, esse sono l’unico strumento di comunicazione e di labile speranza per l’edificazione di un mondo migliore.
Con L’altro inizio non si conclude una storia, ma si apre un monito. Qui la morte rientra prepotente, occupando un posto centrale nelle esistenze descritte. Non è più una fase della vita da temere, sminuire, evitare e sconfiggere, ma qualcosa da accettare e un deterrente a vivere con coscienza, valutando le vere priorità. È difficile da spiegare, ma l’ultimo romanzo della trilogia dell’Adamo Pazzo non indica la via per capire come abbandonare la distopia per l’utopia ma fa risaltare l’incertezza e il dolore ai quali tutti vanno incontro. È perdita e riscatto allo stesso tempo e le ultime pagine, pur essendo sostanzialmente positive, lasciano non poco amaro in bocca.
Spero tanto che questi tre tomi diventino dei classici senza tempo. Perché c’è tanto su cui riflettere, a prescindere dall’epoca nella quale sono stati scritti. Ora mi dedicherò ad altre letture ma non è escluso che tornerò a parlare di Margaret Atwood.
Autore: Margaret Atwood
Titolo: L’altro inizio
Titolo Originale: MaddAdam
Traduzione: Francesco Bruno
Casa Editrice: Ponte alle Grazie
Pagine: 544
Anno di pubblicazione: agosto 2014
Prezzo di copertina: € 24
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