Ho concluso luglio con un mio racconto, Riflessioni di una farfalla ma con agosto voglio fare una cosa nuova. Condividere un racconto altrui per la Pausa racconto.
Oggi voglio dare spazio a una donna che mi ha insegnato molto durante i miei primi approcci con la scrittura sul web. Si chiama Gabriella Parisi ed è la fondatrice del blog Il diario delle Lizzies, interamente ispirato al mondo di Jane Austen.
Avevo già letto alcuni racconti di Gabriella. Sono scorrevoli, piacevoli ma estremamente precisi nel delineare situazioni e atmosfere. In perfetto stile Austen. La sua scrittura ha qualcosa di dolce, carezzevole.
Soprattutto in Profumo di famiglia, si ha l’impressione di scivolare, gradualmente e con grazia, nella storia. Quasi non ti rendi conto che sei arrivato alla fine. Ma non voglio aggiungerti altro, vieni a leggere. È breve breve ma più intensa di quanto possa apparire.
Pausa racconto di Gabriella Parisi: Profumo di famiglia
Finalmente la stanza si era liberata, ed era stata pulita, potevamo salire a rinfrescarci. Era la prima volta che mi recavo nella zona, ma avevo questa strana sensazione di sentirmi un po’ a casa: gli odori di quella stagione mi facevano ripensare a fragranze note, riposte in un angolino della mia memoria, pronte a balzar fuori alla prima vaga sollecitazione olfattiva.
Stanchi del lungo viaggio, entrammo nella camera illuminata dal sole, che entrava dalla finestra prepotente, con il vento che spazzava via gli ultimi ricordi dei precedenti clienti.
All’improvviso qualcosa catturò il mio sguardo: un fazzoletto sul comodino.
Era un fazzoletto da donna di quelli che si usavano un tempo, di cotone, con un piccolo orlino e le iniziali ricamate con una serie di svolazzi e roselline celesti.
VF.
Quelle iniziali mi ricordavano qualcosa. Il fazzoletto era immacolato e perfettamente stirato, così lo presi tra le mani e in quel momento una delicata fragranza di gelsomini e agrumi mi entrò nelle narici, riportandomi alla memoria una donna.
Era una cugina di mia madre, Vera, che aveva sposato tanto tempo prima un ufficiale di Marina e si era trasferita a Livorno.
Ogni estate veniva con il marito a trovare in campagna gli zii che l’avevano cresciuta e, dato che spesso anche mia madre andava a trovare gli stessi zii, ci vedevamo.
Dopo le passeggiate, la raccolta dei fiori o dei capperi, ci riunivamo sotto il portico con le sedie di paglia e, mentre la zia e la nonna lavoravano all’uncinetto, ci raccontava orgogliosa tutto delle sue quattro figlie e delle sue otto nipoti. Solo l’ultima figlia, Lucia, aveva avuto un maschio, Carlo, interrompendo così quella catena di discendenza femminile. Poi, però, quasi pentita di questo errore di percorso, aveva dato alla luce la più preziosa di tutte le nipotine, che era stata chiamata Vera in suo onore.
La zia Vera, come la chiamavamo io e mia sorella, era una donna bellissima: aveva i capelli corvini che le scendevano sul collo in eleganti onde. Gli occhi avevano una sfumatura di verde giada, e brillavano quando ci raccontava, piena di entusiasmo, gli aneddoti, i successi, le attività delle sue bellissime e capacissime nipotine, come solo una nonna orgogliosa sa fare.
Io e mia sorella pendevamo dalle sue labbra: quelle ragazze, tutte un po’ più grandi di noi, a parte la piccola Vera, ci sembravano le eroine di un romanzo, delle Piccole Donne, che sapevano fare tantissime cose.
C’erano le figlie di Margherita, Alba, con i boccoli biondi e sua sorella Valeria, dai morbidi capelli castani, che studiavano al Liceo Classico e prendevano voti altissimi. Avevano tantissimi amici e Alba era sempre appena tornata da un viaggio: dall’Inghilterra, dalla Francia o dalla Grecia.
Poi c’erano le tre figlie di Clara, tre brunette tutto pepe, Pamela, Stefania e Francesca, le due più grandi eccellevano in tutti gli sport, e la piccola era una campionessa di nuoto, che vinceva tante gare.
Quindi c’erano le due figlie di Sonia: Cristina, detta Cricri, e Federica. Di queste due la zia Vera parlava un po’ meno, forse perché erano ancora troppo piccole o ancora non eccellevano in niente, o forse perché, abitando in un paese un po’ distante da Livorno, le erano un po’ più lontane anche dal cuore… Ma non voglio credere che zia Vera, con gli occhi di giada che luccicavano di affetto orgoglioso, facesse preferenze tra le figlie o le nipoti.
Infine c’era Carlo, che un anno aveva appena imparato a camminare… il successivo sapeva contare fino a venti… poi aveva imparato a scrivere, con la sorellina Vera, che seguiva l’anno successivo il percorso tracciato dal fratello.
Anno dopo anno ascoltavamo rapite i racconti della zia, inalando la fragranza del suo profumo agli agrumi e al gelsomino, che andavano a fondersi con gli odori della campagna, dei fichi maturi e delle rose che la nonna curava nel giardino. Quasi invidiavamo quelle nipotine, dalla vita così piena e soddisfacente, dalle mille virtù, e con amici e parenti affettuosi intorno a loro.
Purtroppo, alla morte degli zii, la campagna fu venduta e non vedemmo più zia Vera: niente più aneddoti, storie divertenti, trionfi e conquiste. Dopo dodici anni circa venimmo a sapere che anche zia Vera non c’era più.
E ora, ecco quel profumo, delicato ma prepotente che me la riportava improvvisamente alla mente!
Sorrisi con nostalgia ripensando alle mie estati di quando ero bambina e alla bellissima campagna dello zio alla quale, mi rendevo conto solo ora, il luogo in cui mi trovavo somigliava molto.
Mentre rimettevo il fazzoletto sul comodino sentii bussare alla porta.
“Avanti!”
“Mi scusi, signora, nella fretta di rifarle la camera, devo aver dimenticato qui qualcosa”.
La cameriera, ferma sulla soglia, chiedeva timidamente di entrare nella stanza.
“Prego, faccia pure” le dissi.
La donna, avrà avuto qualche anno meno di me, si guardò intorno, poi, vedendo il fazzoletto sul comodino, lo andò a prendere e se lo mise in tasca.
“Grazie, signora, e mi scusi ancora” mi disse guardandomi con un paio d’occhi verdi come giada.
Photo Credits: in evidenza il gelsomino azzurro e a testo il fiore del limone.
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