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Al mare con Stevenson e il Curriculum Del Lettore di Francesco Mercadante

15 Luglio 2015
Al mare con Stevenson e il Curriculum Del Lettore di Francesco Mercadante

Siamo in piena estate e con l’arrivo dei primi caldi è naturale desiderare di sdraiarsi su una spiaggia o immergersi nelle acque del mare. Eppure, questo contesto naturale racchiude in sé promesse di segreti svelati, viaggi e avventure.
Alla vista di una distesa di azzurro si provano le emozioni più disparate. Libertà e imprevisti, opportunità e pericoli ondeggiano verso l’orizzonte e non sai mai quale di questi scenari potrebbe prevalere.

Per questo ho scelto di rileggere L’isola di tesoro di Robert Louis Stevenson, edito Oscar Mondadori. Confesso che è stata una delle poche letture assegnatami in classe e che non portai mai a compimento ma, dato che l’ho affiancata a Francesco Mercadante, fondatore di Errori&Parole e oggi mio ospite con il suo curriculum del lettore, era d’obbligo riprendervi mano.

Riflessioni tratte dall'Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson

Una piccola riflessione sugli uomini di mare, da Pirati dei Caraibi all’isola del tesoro

Amo il mare ma devo avere una forma di repulsione per le storie ambientate in esso. Ora che ci ripenso, oltre al romanzo di Stevenson, non mi piacque né finii mai Moby Dick di Herman Melville e Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Li trovai noiosi, così come non riuscii ad andare oltre l’incipit de Il vecchio e il mare di Ernest Hemigway.

Lo so, lo so. La mia può sembrarti una blasfemia e fino a pochi giorni fa il non riuscire ad apprezzare questi capolavori della letteratura angloamericana mi ha causato parecchi sensi di colpa. Macchie nere sul mio curriculum di lettrice. Tuttavia mi sono fatta coraggio e ho riletto L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.
Sono felice di averlo fatto. É probabile che, quando scelsi di leggerlo, i tempi non fossero maturi e ora posso provare anche a cercare di spiegare perché non fu amore a prima vista, con una piccola premessa.

Negli ultimi anni, il cinema e la televisione hanno riproposto il tema dei pirati che imperversano nei mari, saccheggiando e bevendo, cantando e bestemmiando. Uomini grezzi, uomini liberi, uomini pericolosi.

La quadrilogia (si può dire?) cinematografica di Pirati dei Caraibi rivisita, in chiave comica e con sfumature magiche e sovrannaturali, la figura del pirata. Non è mia intenzione sminuire i film prodotti da Jerry Bruckheimer e diretti da Gore Verbinski, li ho adorati dal primo all’ultimo e l’interpretazione che Johnny Depp fa di Jack Sparrow è esente da qualsiasi tipo di critica. I personaggi, pur possedendo tutti i tratti caratteristici del pirata risultano, in un qualche modo, addolciti e più adatti a un pubblico facilmente impressionabile. È una fiaba che fa risaltare la capacità di adattamento, l’ingegno e lo spirito d’avventura di questi uomini di mare o, come li chiama Stevenson, cavalieri di ventura. Sullo sfondo due storie d’amore, quella tra Elizabeth Swann e Will Turner e quella tra Davy Jones, capitano dannato dell’Olandese volante e la dea del mare, Calipso.

Molto più reale e verosimile è invece la serie tv Black Sails della quale aspetto con impazienza la terza stagione. Qui i personaggi sono veramente pirati, briganti e manigoldi d’acqua sui quali nessuno sano di mente farebbe affidamento, soprattutto se c’è di mezzo un tesoro da arraffare. Black Sails è un prodotto televisivo, può piacere come non piacere ma mi è parso molto fedele a LIsola del tesoro. Soprattutto per quanto riguarda la resa e la descrizione che l’autore fa di Long John Silver, l’unico pirata che non ebbe paura di nulla e di nessuno, nemmeno del terribile capitano Flint.

Il fascino e il magnetismo di Silver si concentra nell’eloquenza, nella capacità di manipolare, con le parole, le menti e i sentimenti degli uomini. Nel corso della narrazione, l’uomo dalla gamba di legno riesce a mettere nel sacco tutti e ha più vite di un gatto. La sua ambiguità e la sua mente acuta e calcolatrice affascinano e spaventano, allo stesso tempo, il protagonista del romanzo, Jim Hawkins. Quest’ultimo è appena un ragazzino ma e forse è per questo che la prima lettura mi ha lasciata un po’ perplessa. Jim parla da uomo istruito, capace di padroneggiare al massimo grado le belle lettere. Un po’ improbabile per il figlio di locandiere vissuto nel 1700.

La bellezza e la resa stilistica ineccepibile e meravigliosa di Stevenson era troppo fine e levigata per i miei occhi di lettrice bambina. Più che un ragazzino della mia età, mi pareva di sentir parlare un uomo adulto che, dall’alto della sua saggezza, impartiva una lezione sulla morale. Probabilmente, fu per questo che non finii mai L’isola del tesoro ma, è anche per questo, che ho deciso di tornare sui miei passi e rileggerlo.
Mi sono liberata di una macchia nera. Ho letteralmente divorato il romanzo e ho trovato una parola a me ignota, pronunciata dallo stesso Long John Silver:

«Bene, ne prenderò un sorso io, Jim. Ho bisogno di calafatarmi, io, perché c’è del torbido in vista».

Io, il termine calafatare non l’avevo mai sentito ma il mio fido consigliere, il vocabolario, mi ha spiegato che è, semplicemente, la pratica di incatramare le fessure del fasciame di un’imbarcazione in legno per renderlo impermeabile. La traduzione dall’inglese è stata qui precisa e ferrea e da questa unica parola ho ben compreso quanto sia Stevenson sia il traduttore, Angiolo Silvio Novaro, siano stati precisi nell’uso del linguaggio ai fini della narrazione.

Padroneggiare la lingua madre tutti i suoi aspetti, grammaticali, stilistici, lessicali e sintattici, è un’impresa ardua e numerosi sono i tranelli sui quali si rischia di cadere. Tranelli spesso e volentieri segnalati da Francesco Mercadante il quale, con modi quasi pirateschi, non teme di lanciare provocazioni e di far nascere polemiche sull’uso che si fa della lingua italiana nel web. Il suo post di oggi mi conferma quanto sia pertinente l’associazione libraria che ho fatto sulla sua persona. mi domando solo a quale dei due personaggi principali de L’Isola del tesoro assomigli di più, a Jim Hawkins o a Long John Silver? Non so perché ma propenderei per la prima opzione. Jim, con il suo animo un po’ ribelle riesce a trarre in salvo i buoni e pur stimando le abilità di Silver, ne narra con forte spirito critico.

Prima di lasciarti i dati del libro di oggi affinché tu possa fornire il tuo parere sulla questione, ti consiglierei di visionare anche il curriculum del lettore di Francesco Mercadante. Ho la sensazione che sarà molto, molto interessante.

Curriculum del lettore di Francesco Mercadante

Curriculum Del lettore, la parola al fondatore di Errori & Parole

Avevo all’incirca diciassette anni, quando, per la prima volta, mi avvicinai ad un libro con una qualche cognizione di causa: era Il piacere di Gabriele D’Annunzio e cominciai a leggerlo durante un viaggio in treno da Palermo a Roma.

In precedenza, forse tre o quattro anni prima, mi ero dedicato alla lettura dei canti pisano-recanatesi di Leopardi, ma ero talmente piccolo da seguire più la suggestione e la musicalità del ritmo poetico che i contenuti e i significati.

Col passare del tempo, incalzato dall’empito dell’adolescenza e dal fervore dell’inconsapevolezza, volli misurarmi con qualcosa d’impegnativo: non so se l’esigenza nacque in me per pura passione o manie di grandezza, tuttavia, dopo D’Annunzio, mi ritrovai ingobbito sulla Critica della ragion pratica di Kant. Non ne capii molto, se devo essere sincero, tanto che, a distanza di oltre vent’anni, ricordo l’esperienza come qualcosa di ‘traumatico’. Pensavo di essere ottuso o un po’ duro di comprendonio.

Tra un cruccio e l’altro, però, mi resi conto che Leopardi, D’Annunzio e Kant stavano per cambiare la mia esistenza umana e intellettuale. Mi resi conto di volere andare avanti, nonostante i dolori ‘ermeneutici’.
Dopo il liceo scientifico, decisi quindi di studiare il greco da autodidatta e mi iscrissi al corso di laurea in filosofia, dove conobbi i testi di Platone, Aristotele, Schelling, Hegel, Nietzsche e Heidegger.

È bene ch’io dica che, negli anni, la mia visione della filosofia s’è fatta negativa, come se fosse una materia da trattare con diffidenza, mai senza prendere adeguate precauzioni.

Nella dimensione didattica, le tappe importanti furono segnate dai seguenti scritti: il Fedone di Platone, la Metafisica di Aristotele, Sull’essenza della libertà di Schelling, La scienza della logica di Hegel, Così parlò Zarathustra di Nietzsche, libro ancora frainteso, ed Essere e tempo di Heidegger.

Quello universitario fu anche il periodo della scoperta delle Elegie duinesi di Rilke e dei versi di Celan ne Di soglia in soglia.
È quasi impossibile fare una selezione dei cosiddetti libri preferiti, avendo come osservatorio circa venticinque anni di lettura, cosicché mi limito ad indicare quelli che hanno influenzato in maggiore misura il mio pensiero e le mie scelte.

I grandi romanzi entrarono a far parte della mia quotidianità un paio d’anni dopo la laurea. L’uomo senza qualità di Musil, La tetralogia di Giuseppe di Thomas Mann, I fratelli Karamazov di Dostoevskij e I miserabili di Hugo sono, a mio avviso, i più grandi capolavori che siano mai stati scritti. Aggiungo a quest’elenco La Sanfelice di Dumas e mi fermo non perché manchino i titoli, ma perché, se continuassi, verrebbe meno il criterio della scelta.

In conclusione di questo excursus del lettore, sento di avere degli obblighi morali nei confronti di alcuni grandi scienziati i cui saggi mi hanno permesso di insegnare, scrivere e rigenerare la mia interpretazione della realtà: L’istinto del linguaggio di Pinker, Linguaggi e problemi della conoscenza di Chomsky, La gran madre e Storia delle origini della coscienza di Neumann, Il pensiero selvaggio di Lévi-Strauss, Al di là del principio del piacere di Freud e Libido Simboli e trasformazioni di Jung.
Oggi, chi sono, dopo tante letture? In sostanza, sono quel che faccio nel momento in cui mi si chiede chi sono; in vita, sono uomo che si ostina a scrivere libri in nome d’una specie di un… Meraviglioso ‘nonsoche’.

Che ne pensi? Direi che è un Curriculum Del Lettore bello tosto. Jim o Long John Silver?

Autore: Robert Louis Stevenson
Titolo: L’isola del tesoro
Titolo Originale: Treasure Island
Traduzione: Angiolo Silvio Novaro
Casa Editrice: Mondadori
Collana: Oscar
Pagine: 253
Anno di pubblicazione: Ristampa 2013
Prezzo di copertina: € 9.50

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4 Comments

  • Reply annaecamilla 15 Luglio 2015 at 16:43

    Comunque gli anni ed il tempo maturano anche i nostri gusti letterari e quello che è capitato a te ed è quello che è capitato anche a me! la vita è bella anche perchè si cambia, no?

    • Reply Rita Fortunato 15 Luglio 2015 at 20:13

      Per fortuna, se non fosse così, sai che noia? 😀

  • Reply FUNemployment (@funemploymentIT) 16 Luglio 2015 at 8:32

    i libri cambiano, come diceva il burbero bibliotecario della Storia Infinita, perchè mentre i nostri gusti letterari si evolvono, ogni libro nell’essere ritrovato ci riserva sempre qualcosa di nuovo. ottima retrospettiva, buona giornata!

    • Reply Rita Fortunato 17 Luglio 2015 at 6:09

      @funemploymentit, hai ragione.
      A proposito, nella mia lista di libri da leggere c’è La storia infinita e la tua citazione capita proprio a fagiolo. 😉

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