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Chicago e Racconti dell’età del jazz: dal film al libro, elementi comuni

24 Giugno 2015
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Confesso, vado poco al cinema. Sono una di quelle persone che spesso rinunciano ad andarci e aspettano, pazienti, l’uscita del dvd. Per Chicago però c’ero.

Uscito nel 2002 non potevo perdermi un film ambientato negli anni ’20 e dedicato al ballo e al canto (arti nelle quali sono completamente negata) con Richard Gere, Catherine Zeta Jones e Renèe Zellwger.

Mi piacque così tanto questo lungometraggio che comprai anche il dvd, una speciale edizione da poter guardare tutte le volte che volevo.

Dato che questa settimana ho deciso di associare un libro a un film, per Chicago ho scelto Racconti dell’età del Jazz di Francis Scott Fitzgerald. Mi sembrava che l’associazione calzasse a pennello.

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Chicago, una sfavillante menzogna a ritmo del jazz

La trama di Chicago, diretto da Rob Marshall, ruota attorno a Roxie Hart e Velma Kelly, due subrette ambiziose che però si macchiano del reato di omicidio. La prima perché sedotta e ingannata da uno pseudo talent scout e la seconda perché scopre il marito in atteggiamenti intimi con la sorella.

Nulla di drammatico, il film risulta deliziosamente perfido. Con l’entrata in scena dell’avvocato Billy Flynn, diventa un vero e proprio tributo all’inclinazione delle persone a ricercare le illusorie luci della ribalta per non doversi soffermare sul grigiore e sulla mediocrità della vita quotidiana.

Roxie, Velma e il signor Flynn non hanno nulla di empatico. Sono personaggi estremamente superficiali, cinici e ambiziosi. L’omicidio e la morte non sono altro che dettagli, intoppi che limitano o favoriscono la loro ascesa nel mondo dello spettacolo.

La realtà cede il passo alla finzione, quest’ultima diviene più importante della prima in base alla convinzione, corretta, che vede la vita come un grande e immenso palcoscenico attraverso il quale è possibile ottenere la tanto agognata notorietà. Una notorietà basata più su una fama instabile e volubile che sulla gloria perpetua.

Chicago è un film sfavillante e relativamente superficiale. Ha un’unica nota drammatica e profondamente vera nella personcina realmente candida e pura dell’unica carcerata innocente. Onta che la fa rimanere ai margini della storia. Ciò che conta è decorare e far risplendere una menzogna convincente, non sostenere la giustizia e la verità.

Come in Footloose, anche in Chicago ci sono due scene alle quali sono particolarmente affezionata e che mi fanno stare, letteralmente, con il fiato sospeso per il fascino che esercitano su di me.

Una è quella in cui si presentano i reati delle Sei ‘Allegre’ Assassine dove, attraverso la danza, nominata Il tango del sole a scacchi, spiegano le motivazioni che le hanno portate ad uccidere il loro rispettivi coniugi.

In particolare, è l’introduzione alla scena che mi piace particolarmente. Roxie è appena stata condotta in carcere e, durante la prima notte in cella, si trova assorta ad ascoltare i rumori di quel luogo freddo e buio.

Una goccia che cade, sospiri delle prigioniere e suoni onomatopeici diventano la base dalla quale creare un sottofondo musicale e una scenografia semplice, lineare ma decisamente intrigante. Arpie seducenti e senza rimorsi narrano la loro storia. Tra di esse solo una colomba che si narra, ma non si comprende.

La seconda scena è il tip tap magistralmente eseguito dall’avvocato Billy Flynn. Roxie rischia la condanna per impiccagione e viene messa in difficoltà da una dubbia testimonianza di Velma, anche lei desiderosa di riconquistare la libertà e tornare a calcare il palcoscenico. La Hart rischia grosso ed è in questo momento che il suo scaltro avvocato dà il meglio di sé. Alla sua dialettica persuasiva si accompagna un tip tap, ballo considerato tra i più complessi in assoluto, dimostrando quanto la giustizia non sia basata su fatti reali e veritieri ma su quanto chi dovrebbe esercitarla sa essere abile nell’assoggettarla e manipolarla per fini opportunistici e spettacolari.

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Da Chicago a Racconti dell’età del jazz di Francis Scott Fitzgerald

Mentre riguardavo Chicago, mi sono ricordata di uno dei tanti libri acquistati negli anni e che non avevo ancora trovato l’occasione giusta per leggere. In quel momento realizzai che era giunto il momento di aprire le pagine sulle quali erano stampati i Racconti dell’età del jazz di Francis Scott Fitzgerald. Mi sembrava quanto mai pertinente.

Come ho fatto per Raymond Carver quando ho commentato i suoi racconti raccolti in Vuoi stare zitta per favore?  anche con Fitzgerald non voglio arrischiarmi in una dettagliata analisi e preferisco fare un breve accenno su alcuni di essi.

Il fannullone e Tarquinio a Cheapside sono quelli che hanno catturato meno la mia attenzione. Il primo perché lo percepito come vagamente noioso e il secondo perché, fondamentalmente, non l’ho capito (malgrado l’autore apra ogni singolo scritto dando qualche indicazione sulle circostanze che l’hanno portato a svilupparlo).

Adorabile il senso dell’umorismo e la leggerezza de La parte posteriore del cammello. Mi ha decisamente conquistata, tanto che l’ho letto due volte prima di procedere.

Quando sono arrivata alla storia intitolata La vasca azzurra ho subito pensato a Simona Nurcato. Non ho potuto fare a meno di paragonare la briosità della protagonista, Julie, con la simpatia della blogger di Bagni dal mondo. La vasca azzurra non è propriamente un racconto, ma una sceneggiatura teatrale come lo è quella, carica di significato, intitolata Il signor Icky.

Leggendo La feccia della felicità mi sono commossa, avrei voluto abbracciare i personaggi e la dolce dolcissima Roxanne.

Ho scoperto con gioia e non poca emozione Il caso singolare di Benjamin Button. In questo caso vorrei precisare che, per quanto adori Brad Pitt ( dopo aver visto Spy Game penso sia doveroso considerarlo come il degno erede di Robert Redford) ho preferito di gran lunga il racconto rispetto alla trasposizione cinematografica, diretta da David Fincher, del 2008. Molto spesso i film non rendono giustizia ai romanzi ai quali si ispirano.

Racconti dell’età del jazz raccoglie, undici storie. Io te ne ho citate solo sei, lascio a te il compito di scoprirne (e spero di apprezzarne) le restanti quattro intitolate Primo Maggio (folle e amaro) Il diamante grosso come l’Hotel Ritz (istruttivo e lussuoso) La strega dai capelli rossicci (malinconico e disincantato) e Jemina, la ragazza di montagna (semplice e straziante).

Non ve ne è una dove non si respiri tutto il fascino degli anni ’20 con le sue feste e le illusioni che rendono quest’epoca fintamente dorata, irrimediabilmente perduta in un mondo di sogni infranti.  L’improvvisazione e l’inaspettato regnano sovrane, in pieno stile jazz.

Autore: Francis Scott Fitzgerald
Titolo: Racconti dell’età del jazz
Titolo Originale: Tales of the Jazz Age
Traduzione: Giorgio Monicelli e Bruno Oddera
Casa Editrice: Mondadori
Collana: Oscar
Pagine: 340
Anno di pubblicazione: Ristampa 2010
Prezzo di copertina: € 10

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2 Comments

  • Reply Simona 22 Aprile 2017 at 8:58

    Rita non mi ero mai accorta della citazione, scusa!
    Mi incuriosisce il racconto, grazie per la segnalazione :-p

    • Reply Rita Fortunato 24 Aprile 2017 at 13:35

      Ciao Simona, sto apportando dei cambiamenti al blog e forse è per questo che la menzione è passata inosservata e poi, meglio tardi che mai. 😀
      Quando lo leggerai, fammi sapere cosa ne pensi. Non c’è fretta. :*

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