Dopo Incipit e La cintura di stoffa, eccomi qui, con un’altra pausa racconto e un altro dipinto da sottoporre alla tua lettura.
Ho scritto La stretta di mano un paio d’anni fa e la trama mi si è presentata durante una funzione religiosa. Non vado spesso in chiesa ma quel giorno, forse perché mi era piaciuto il sermone del parroco o perché mi sentivo particolarmente ispirata, è nato in me un sentimento molto dolce, oserei dire sereno e sono riuscita a non farmelo scappare. A riportarlo su carta prima e sul web, ora.
Spero che anche tu provi quello che ho provato io nello scrivere La stretta di mano e, naturalmente, se è migliorabile, il tuo consiglio è benvenuto. Buona lettura.
Pausa Racconto: La stretta di mano
Un vecchio, magro e puzzolente da far paura, vagava per le strade di una frenetica città industriale.
Un tempo era una persona poi era diventata solo un’ombra come tante. Si nutriva di quello che trovava nella spazzatura, non si ricordava neanche chi era, da dove veniva e dove andava.
La gente si scostava da lui disgustata; chi non lo avrebbe fatto se si fosse trovato di fronte qualcuno che si avvicinava con un alito pestilenziale e gli occhi infossati dalla stanchezza, dalla disperazione e dalla frustrazione?
Ma un giorno gli accadde qualcosa di straordinario.
Si stava riposando sulla panchina di un parco quando un bambino molto piccolo gli si avvicinò e gli chiese, senza tanti preamboli:
«Ciao, io mi chiamo Giorgio, tu, come ti chiami?»
«Mi chiamano barbone!»
«Non ti ho chiesto che cosa sei, ma come ti chiami!»
«Non mi ricordo, vuoi darmi tu un nome?»
«Va bene, allora ti chiamerai Matteo!»
«Matteo? Mi pare un nome un po’ stupido, non mi piace!»
Il bambino fece un sorriso grande grande, gli tese la mano e gli disse,sventolando la manina con rinnovata insistenza:
«Piacere di conoscerti Matteo, io mi chiamo Giorgio!»
Allora il vecchio decise di assecondarlo e gli strinse la mano:
«Piacere mio!»
Dopo le dovute presentazioni il bambino gli fece un altro sorriso e, prima di correre via, gli disse:
«Adesso devo andare via, la mia mamma mi starà cercando e non voglio che si preoccupi!»
Il vecchio lo guardò allontanarsi e pensò fra sé e sé:
«Che strano bambino!» e anche lui se ne andò per la sua strada.
Prima di uscire dal parco gli venne l’impulso di guardare il suo riflesso sull’acqua del laghetto artificiale che sorgeva alle pendici di un vecchio albero e dove era stata collocata la panchina dove aveva dormito. Vide che il suo viso era come cambiato, gli anni di sporcizia che lo avevano ricoperto e abbruttito erano spariti e vedendo questo cambiamento non poté fare a meno di sorridere.
Un’anziana signora si avviava verso il boschetto vicino, portava un sacchetto di briciole di pane da gettare alle anatre. Matteo le andò vicino sorridendo, si sentiva audace e aveva voglia di parlare con qualcuno. Di sentirsi un po’ meno solo. Così le tese la mano e le disse:
«Piacere di conoscerla signora, io mi chiamo Matteo e lei?»
La vecchietta lo guardò un po’ sorpresa, ma decise di assecondarlo:
«Io, invece, mi chiamo Elsa!»
«Lei si sente sola, signora Elsa?»
«Non sono sola, ho le anatre che mi fanno compagnia, vengo qui ogni giorno per dar loro da mangiare, ormai mi conoscono e mi vengono vicino anche se non ho niente da offrirgli e poi mi piace guardarle nuotare e immergersi nell’acqua in cerca di qualche pesciolino!»
«Posso farle un po’ di compagnia assieme alle anatre signora Elsa? Io, invece, credo di essere solo e ciò mi rattrista».
«Volentieri giovanotto!»
Matteo ed Elsa gettarono il pane da dare alle anatre, parlarono a lungo e si fecero compagnia a vicenda fino a quando non arrivò il momento dei saluti e si separarono, ognuno per la sua strada.
«Mi scusi signore, potrebbe dirmi dov’è via dei giardini?» domandò una ragazza.
«Ma come mai questa ragazza mi dà del signore? Non vede che sono un mendicante?» pensò Matteo sorpreso e si guardò attorno, come per cercare la via e sulla vetrina di un negozio. Non si era accorto che si stava avviando verso il centro della città. Pensava ancora alla gentilezza della signora Elsa. Vide nuovamente la sua immagine riflessa, gli stracci puzzolenti che indossava non c’erano più, indossava un bel vestito elegante, pulito e ben stirato e le sue rughe più profonde erano scomparse.
«Mi scusi signore, sa per caso dov’è via giardini?» ripeté la ragazza pensando che Matteo non l’avesse sentita.
«Ah sì, so dov’è, non è distante, se vuole la accompagno!»
«La ringrazio, ma non vorrei disturbarla!»
«Non si preoccupi signorina, tanto non ho niente di importante da fare, io mi chiamo Matteo e lei?»
«Mara, piacere di conoscerla!» e si strinsero la mano.
Dopo aver accompagnato Mara, Matteo si guardò nuovamente su una vetrina e vide che era ringiovanito. Sembrava che ogni stretta di mano, ogni presentazione, ogni parola e atto gentile lo facesse ringiovanire e la gente non lo guardava più con disprezzo, sembrava che tutti gli sorridessero e che gli volessero bene…era contento.
Ogni giorno stringeva la mano a persone diverse e man mano che queste strette aumentavano, il tempo, per lui, tornava indietro. Fino a quando non assunse le sembianze di un bambino.
L’ultima mano che strinse fu quella di un mendicante, dormiva sulla stessa panchina dove lui aveva giaciuto una settimana prima, quando il piccolo Giorgio gli aveva per primo stretto la mano.
Quando Matteo lasciò la mano del barbone al quale, a sua volta, aveva dato un nome, si rifugiò in una cavità del vecchio albero vicino. Sentiva il suo corpo rimpicciolirsi sempre di più.
Si addormentò, contento e sereno. Al risveglio, si accorse che stava in braccio ad una donna bellissima, illuminata dal sorriso più dolce e tenero che avesse mai visto.
«Questa è la mia mamma, è la mamma di tutti. È amore, è felicità, è serenità.» esclamò la sua mente e ricambiò il sorriso che lei gli stava donando.
2 Comments
Ho apprezzato molto sia il disegno che il racconto, grazie ☺️
Ciao, Paola, mi fa piacere :*