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Pausa racconto di Francesco Ambrosino: I Want to Hold Your Hand

5 Maggio 2015
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Quando ho chiesto a Francesco Ambrosino consigli su come impostare Ho scelto di scrivere, ma perché? non avrei mai creduto che mi avrebbe a sua volta condiviso una sua novella, I Want to Hold Your Hand. L’ho trovata così graziosa e tenera che mi è subito venuta la voglia di fartela leggere.

Lo sguardo del protagonista pare una macchina da presa che filma i pensieri e le emozioni del momento, senza per questo renderle meno intense. Lo stile di scrittura è molto pulito, lineare e, dato che affronta il tema del primo bacio, mi ha fatto sorridere la delicatezza, un po’ goffa, con la quale l’innamorato si avvicina alla persona amata.

Nel corso della lettura ho poi notato l’abbondanza di dettagli descrittivi, alcuni indicanti oggetti di uso comune identificati con il nome della ditta di produzione. Confesso che mi sono sorti due piccoli dubbi. Un uomo si sofferma sempre su tutti quei dettagli quando stringe la mano dell’amata? L’emozione narrata aveva un qualche obiettivo commerciale? A incuriosirmi, inoltre, è stato anche il social sul quale l’autore ha condiviso il suo lavoro.

Dato che non sto zitta, ho posto subito queste domande a Francesco Ambrosino. In poche parole, mi ha confermato che, quando scrive, utilizza espedienti narrativi tipici del linguaggio cinematografico come la voce fuori campo e, per rendere più efficace e immediata la scena costruita, inserisce alcuni elementi in grado di rendere più autentico e realistico quello che vuole raccontare.

Quindi, niente product placement, da non confondere con la pubblicità subliminale. Il primo inserisce nelle scene prodotti commerciali ben visibili dallo spettatore mentre la seconda è più complessa perché il prodotto viene mostrato per una frazione di secondo, il tempo sufficiente per essere memorizzato dal cervello, senza però accorgersene visivamente.

Infine, il social utilizzato per la divulgazione del suo scritto è Medium. Per Ambrosino, tale piattaforma ha tutte le potenzialità per essere una valida alternativa al blog tradizionale.

Martedì scorso ti ho presentato La cintura di stoffa, oggi, invece, voglio assolutamente dare spazio a I Want to Hold Your Hand. Vieni a leggerla (e ad ascoltarla)?


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Pausa Racconto di Francesco Ambrosino: I Want to Hold Your Hand

Non dimenticherò mai la prima volta che le sfiorai le mani. Era inverno, e fuori c’era la neve, ma le sue mani erano calde. Pensai a quella stupida frase delle mani calde e del cuore freddo. Che stronzata.

Non credevo che potesse essere così. Non credevo che mi avrebbe sconvolto così. Un brivido freddo mi percorse tutta la schiena, mentre una goccia di sudore seguiva il percorso inverso. Con lo sguardo basso, rimasi a osservarle i piedi.

Non riuscivo ad andare oltre le sue Converse. Avevo paura di alzare lo sguardo e trovarmi di fronte un’espressione neutra. Non volevo alzare lo sguardo e scoprire che lei non provava le stesse cose.

Strinsi le sue mani un po’ più forte, mentre tremavo. La differenza di temperatura tra la mano che la stringeva e quella libera era impressionante. Chiusi il pugno della mano libera per far circolare il sangue che, evidentemente, era andato in tutt’altra direzione. Continuai così per alcuni interminabili secondi, scanditi dal rumore prodotto dalle spazzole dei tergicristalli della mia vecchia Renault 5.

Poco dopo, mi resi conti che lei non si muoveva, era muta e immobile come una statua di cera. Pensai che se fosse stata davvero una statua di cera, il calore sprigionato dalle sue mani l’avrebbe fatta sciogliere come un ghiacciolo in pieno luglio, lasciando sulle mie mani quella fastidiosissima patina appiccicosa e dolce che non puoi fare ameno di leccare.

Quanti pensieri idioti in quella frazione di secondo. Chissà cosa pensava lei. Chissà se aveva pensato a quella stronzata del ghiacciolo. Probabilmente no.

Mentre le guardavo le scarpe, mi resi conto che aveva i lacci di due colori diversi. Uno rosa e uno lilla. Le scarpe, ovviamente, erano bianche con dei motivi floreali esattamente lilla e rosa. Che scelta azzeccata, pensai.

Piano piano, con il terrore che cresceva, alzai lentamente lo sguardo ma, arrivato all’altezza del ginocchio, mi bloccai. Di nuovo. Ero pietrificato. Strinsi ancora la sua mano, come per assicurarmi che fosse ancora lì. C’era, ed era ancora calda, ma non un calore eccessivo, come quello che scioglie il ghiacciolo, ma un tepore tipo piumone in una notte invernale mentre fuori piove.

Il suo ginocchio si muoveva intermittente, come colto da improvvisi spasmi. Forse, pensai, anche lei ha i brividi di freddo, ma non sulla schiena come me. I suoi si erano concentrati sul ginocchio. Quel ginocchio che notai essere coperto da una toppa. Era verde, come quella che mia madre cuciva sui pantaloni di velluto a coste che portavo da bambino quando cadevo e mi sbucciavo le ginocchia. Chissà se lei si era mai sbucciata le ginocchia. Ma sì. Tutti i bambini di questo mondo almeno una volta nella vita l’hanno fatto. A me succedeva sempre quando andavo in bici. Non ho mai capito perché, ma non riuscivo mai a stare in equilibrio per più di 500 metri.

Chissà se lei era mai caduta dalla bici. O dal monopattino. O dai pattini.

I vetri della macchina si erano appannati, assumendo lo stesso colore dell’orizzonte coperto dalla neve e da una leggera foschia.
Mentre le osservavo la toppa sul ginocchio e le stringevo la mano, mi venne in mente la canzone dei Beatles, I Want to Hold Your Hand. Nella strofa i Fab4 cantavano:

“Oh please, say to me, You’ll let me be your man, And please, say to me, You’ll let me hold your hand”.

Avrei tanto voluto sentirglielo dire. Avrei tanto voluto che lei si voltasse verso di me e mi sussurrasse all’orecchio che voleva che fossi il suo uomo. Avrei tanto voluto essere il suo uomo. Nel frattempo, le stringevo la mano.

Presi coraggio e il terrore iniziò a scemare. Così, alzai lentamente lo sguardo fino ad arrivare all’altezza dei suoi seni, coperti da un cappotto viola e da una pashmina rosa. Pensai che quei colori le stessero davvero bene. Avrei voluto dirglielo, ma non lo feci. Rimasi immobile a fissarle la sciarpa.

Pensai a cosa indossasse sotto. Probabilmente un maglione rosa, o lilla, o viola, o magari grigio. Pensai alla fantasia. Chissà se era a tinta unica,oppure aveva dei disegni, o dei fiorellini, o forse una scritta, o il simbolo di un marchio famoso. Un cagnolino, un coccodrillo, delle lettere, una coroncina, una stellina. O forse niente.

Con la mente annebbiata da tutti quei pensieri, mi dimenticai del terrore che provavo e alzai ancora di più lo sguardo. C’ero quasi. Vedevo il suo collo, avvolto nel calore della pashmina.

Il suo mento, con quella leggera fossettina che mi faceva impazzire. Sembrava fatta apposta per essere guardata, ammirata.
Le sue labbra, coperte da un sottile velo di Labello rosa. Probabilmente, se l’avessi baciata, avrei sentito il sapore della ciliegia, o della fragola, o del lampone.

Il suo naso, con la punta arrotondata. Avrei voluto darle un bacio come fanno gli eschimesi, strofinandosi la punta del naso.
I suoi occhi, azzurri come l’inchiostro della penna dieci colori che usavo da bambino. Ricordo che aveva un buon odore.
La sua fronte, coperta in parte dai capelli chiari.

A quel punto, stringendo la sua mano più forte, indietreggiai con lo sguardo, in modo da poterla guardare nel suo insieme. Fu lì che vidi finalmente il suo viso, e non mi deluse affatto.

Aveva lo sguardo dolce. Sorrideva leggermente, formando una piccola mezzaluna con le sue labbra al lampone.
I suoi occhi, adesso lucidi, si persero nei miei e in quel momento mi resi conto che non esiste niente di più bello degli occhi di una donna innamorata.

La guardai per qualche secondo. Poi, lentamente, mi avvicinai. Lei fece lo stesso. Ci incontrammo a metà strada, sempre stringendoci la mano.
A quel punto, prendendo coraggio, appoggiai le mie labbra sulle sue. Lampone. Era decisamente lampone. Continuai a baciarla, cercando l’altra mano. Avevo gli occhi chiusi, ma la trovai subito. La presi delicatamente e la strinsi.

Staccai le mie labbra dalle sue per un attimo. La guardai negli occhi. Avrei voluto dirle tante cose. Avrei voluto che lei mi dicesse tante cose. Invece, rimanemmo in silenzio, persi nel nostro bacio più bello.

Photo Credits: via Medium

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2 Comments

  • Reply eva emblematica - favolesvelte/2 5 Maggio 2015 at 9:47

    Ciao Rita ciao Francesco sono Valeria B. Mian (ci vediamo su Adotta 1 Blogger) buona giornata!

    • Reply Rita Fortunato 5 Maggio 2015 at 11:06

      Ciao Valeria! Senza dubbio, nel frattempo vado a curiosare sul tuo blog! 🙂

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