Allungare la lista dei libri da leggere è una gioia, spuntare un titolo da essa, una conquista e una grandissima soddisfazione.
Ho letto L’istinto di narrare con tutta l’attenzione possibile e non sono stata da meno nell’appuntare una pagina sì e una no con un fogliettino colorato. È sufficiente fare un collage di tutte le citazioni segnalate per avere un sunto di tutto il lavoro di analisi di Jonathan Gottschall.
Mi accontento di segnalarti i punti salienti che potrebbero invogliare anche te, divoratore di storie, a leggerlo.
L’stinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani.
«Abbiamo, come specie, una vera e propria dipendenza dalle storie».
No, non è la frase di apertura della trattazione di Jonathan Gottschall, ma una presa di coscienza dell’autore riguardo l’argomento e dei motivi che lo hanno condotto a scriverci sopra un libro.
Dipendenza. Mai termine più adeguato per indicare con esattezza le storie e le funzioni che gli competono, necessità fondamentali per definire essere umano. Queste sono effettivamente vere e proprie droghe. La crisi d’astinenza è la noia e l’inaridimento mentale ed emotivo.
Anche solo il fatto che l’autore de L’istinto di narrare dedichi il suo scritto alle figlie è significativo. Sono le sue muse e abitanti perfette dell’Isola che non c’è. Sognatrice come sono, la dedica mi ha in un certo senso confortato perché, spesso, la lettura è erroneamente vista come un qualcosa che si subisce. In più, è luogo comune credere che chi ama leggere non abbia niente di meglio da fare, in quanto inadatto ad affrontare la realtà, se non lasciarsi abbindolare o stordire dalle vite e dagli ambienti costruiti dallo scrittore. Niente di più sbagliato.
«Quando entriamo in contatto con una storia, la nostra mente macina a getto continuo».
Capito? La mente lavora, eccome! La narrazione, qualsiasi sia il tipo di linguaggio scelto per svilupparla, è centrale nella vita di ognuno di noi perché stimola all’azione.
«Alcuni prendono in giro le persone che costruiscono castelli in aria. Invece l’immaginazione è uno straordinario strumento della mente. Mentre il nostro corpo è bloccato in uno specifico qui e ora, la nostra immaginazione ci permette di muoverci liberamente nel tempo e nello spazio».
Te l’avevo detto che avrei segnalato solo i punti salienti de L’istinto di narrare. Finora ti ho riportato tre brevi passaggi. Semplici, chiari e, soprattutto, completi.
Personalmente, regalerei una copia di questo libro a tutti quelli che, considerando l’affermazione “la vita non è nei libri” come una verità incontrovertibile, reputano il lettore e la persona di cultura in genere come un qualcuno che non sa vivere.
Certo, la vita vera non è solo ed esclusivamente nelle pagine di un libro però non si può negare che esse siano un ottimo strumento di simulazione, possibile solo attraverso l’immaginazione narrativa. Da essa, infatti, è possibile estrapolare la soluzione a un problema.Questo perché la storia, in sé, sorge da un dubbio che avvia un processo di ricerca e di crescita, lavorativa, sociale, emotiva, culturale che sia.
In fondo, anche l’ignorante racconta storie e si lascia affascinare da esse, soprattutto quando si scambiano informazioni (dicesi pettegolezzo) sulla vita privata di un conoscente o di un estraneo. Non credo vi sia nulla di male in questo.
L’arte non è espressione di una cultura ma una tensione naturale
Secondo quanto afferma Jonathan Gottschall:
«I bambini sono attratti dall’arte per natura, non per cultura».
Questo assunto mi ha rimandato alla memoria un altro testo, L’utilità dell’inutile di Nuccio Ordine e, paragonandolo all’argomento di oggi mi sento di dire che ciò che appare effimero e aleatorio non è necessariamente superfluo o non pertinente allo sviluppo di una società sana ed equilibrata. Di conseguenza, anche il mondo della narrazione diventa utile, in quanto bisogno, necessità e insegnamento alla vita.
Anche il gioco, ad esempio, riacquista valore poiché in esso non si creano realtà immaginarie idilliache ma scenari spaventosi da affrontare.
Fin da piccoli ci si esercita alle avversità. Le storie non hanno nulla a che fare con atteggiamenti culturali nozionistici o snob. Le attività e i processi mentali rilevati da Gottschall sono analizzati da tutte le angolazioni possibili; oniriche, mnemoniche, sociali, religiose, storiche e, applicati a esempi reali e virtuali, l’autore ne individua sia gli aspetti positivi sia quelli negativi (la mente può essere manipolata e i ricordi non sono sempre attendibili).
Nel complesso questo meraviglioso studio del mondo narrativo fa emergere il cuore della nostra umanità poiché:
«La finzione narrativa esprime, nel suo insieme, un forte senso etico».
Per quanto riguarda la realtà virtuale, che sempre più sta prendendo piede nelle nostre vite, vorrei chiudere con questo estratto:
«Per molti aspetti non trascurabili, il mondo virtuale è più autenticamente umano del reale. Ci restituisce una comunità di appartenenza, una sensazione di saper fare, il senso di essere una persona da cui gli altri dipendono».
Quando ho concluso la lettura de L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, ho avuto l’impulso di fotocopiare e appendere al muro l’ultima paginetta (l’ho anche condivisa su Twitter). Per ricordarmi cosa mi spinge a leggere, per ricordarmi che sono un essere umano e non un numero, per continuare ad avere fiducia nelle persone e a non smettere di giocare e raccontare.
Lo leggeresti anche tu? Ti lascio i dati del libro e, nel frattempo, aspetto di leggere anche le tue impressioni al riguardo.
Autore: Jonathan Gottschall
Titolo: L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani.
Titolo Originale: The Storytelling Animal. How Stories Make Us Human.
Traduzione: Giuliana Olivero
Casa Editrice: Bollati Boringhieri
Pagine: 249
Anno di pubblicazione: aprile 2014
Prezzo di copertina: € 22
Photo Credits: pixabay.com
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