«Al crepuscolo condussi la bambina che non vede per un tratto di bosco, dove c’erano oscurità e ombre. La condussi verso un’ombra che ci veniva incontro. Le sfiorò le gote con le sue dita vellutate. E ora lei pure predilige le ombre. Svanita la paura che fu».
È con questo passo con il quale inizierei la recensione di Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, edito Frassinelli. Perché sintetizza un’opera impegnativa.
Un libro che chiede al lettore e alla lettrice tempo, concentrazione e volontà di addentrarsi, senza pregiudizi, nelle ombre della psiche femminile.
Capitolo dopo capitolo, la Estés segnala le tappe che costituiscono il viaggio nella natura selvaggia della donna, allegoricamente rappresentata come un bosco. Un intricato mondo interiore dove l’essenza del femminino genera architetture naturali, antiche, ricche di trappole e rivelazioni.
Il sentiero da seguire è indicato dalle storie raccolte dall’autrice. Favole, fiabe e antiche leggende individuano, studiano e riscoprono la Donna Selvaggia, presente da sempre e per sempre nella donna.
Qui non si ricerca la donna intesa come essere libertino o graziosamente disinibito per favorire convenzioni e piaceri dettati dalla cultura del momento.
Clarissa decanta le capacità interiori del femminino come la forza, la resistenza, la creatività, la sensibilità e l’intuito. Qualità che il gentil sesso si è trovata spesso a reprimere e a non esporre nelle società che vedono nell’elemento maschile l’unico depositario di tali virtù. Con le favole l’autrice espone delle prove concrete che certificano la presenza e l’associazione di tali capacità al Sé femminile.
Donne che corrono coi lupi: le fatiche della Donna Selvaggia
Lungo il percorso tracciato dall’autrice di Donne che corrono coi lupi, la lettrice si orienta con La Loba (La Lupa) il cui compito è raccogliere ossa, ricostruirne lo scheletro e infondere loro la vita attraverso le funzioni catartiche del canto.
Una volta compiuto questo rito, la Donna Selvaggia affronta Barbablù, il predatore psichico e responsabile della lesione dell’autostima. Affrontare questo primo ostacolo equivale a riconoscere i propri limiti e, con Vassilissa, a superarli esercitando i compiti fondamentali da svolgere per il recupero del classico intuito femminile.
Ancora, la lettrice individua in Manawee il compagno ideale, l’uomo in grado di cogliere l’essenza, la natura sostanzialmente duale dell’animo femminile amandola nel modo giusto. Si prende coscienza che l’amore va costruito, mantenuto e coltivato in tutte le sue fasi. Lo spiega bene La Donna Scheletro, una delle mie novelle preferite.
Alla presa di coscienza che l’amore non è un qualcosa che discende dall’alto ma un insieme di comportamenti e di valori che non annullano l’individuo, ma lo integrano, subentra la necessità di trovare la forza per riconoscere il vero gruppo di appartenenza. Obiettivo raggiunto, con determinazione e coraggio dal Brutto Anatroccolo.
Alla scoperta degli altri si aggiunge anche l’accettazione del proprio corpo, bellissimo, qualunque sia la sua forma terrena e si impara a a danzare come Mariposa, la Donna Farfalla.
Danza come metafora dell’esistenza. Una volta appresi i giusti passi è possibile sentirsi complete, felici e libere da desideri distruttivi. Un monito per non incorrere in tali trappole sono le disavventure della protagonista di Scarpette Rosse la quale, seppur menomata, riesce a salvarsi da sè stessa.
Se si seguono con attenzione le lezioni di Pelle di Foca, Pelle d’Anima, l’equilibrio interiore non è poi così lontano e ha un che di magico, di rassicurante.
Personalmente, mi è parso che il femminino fosse rappresentato come una sorta di atelier, dove si forma e si nutre la creatività presente. Raccogliendo gli indizi sparsi ne La Piangente, La Piccola Fiammiferaia e i Tre Capelli d’Oro, la creatività diventa come un figlio adorato che richiede cure e attenzioni. Abbandonare la propria creatività è come abbandonare sè stessi e morire, quando si è ancora in vita.
Con le risate e gli aneddoti di Balbo, la dea panciuta, la Venere del Neolitico, la donna si fa poi sacerdotessa della sia sessualità, vissuta in modo sano e sereno. Tuttavia, al riso si accompagna il pianto, la rabbia e la frustrazione. Sentimenti negativi che non possono passare inosservati ma che si possono gestire seguendo l’Orso della Luna Nascente. E infine, il velo della vergogna e dell’imbarazzo, con il quale la donna copre i suoi più intimi segreti, si apre grazie alla Donna coi capelli d’oro e con il sostegno del Clan delle Cicatrici.
La meta finale arriva con La Fanciulla senza Mani, lei è la guida, il Virgilio della psiche femminile. A lei compete riassumere tutti i temi toccati nel libro e le idee dell’autrice. A lei, la lettrice si ispira.
Donne che corrono coi lupi è un vero e proprio trattato di psicologia al femminile che conduce alle ombre e rivela tesori nascosti in scrigni favolistici sopravvissuti al tempo.
Ombre e ricchezze che Clarissa Pinkola Estés fa riemergere coniugando le sue competenze di psicologa analitica ed etno – clinica con il suo ruolo di cantadora, custode di storie.
Con questo libro ho avuto la possibilità di rivedere, sotto un’altra ottica, non solo le storie che lessi da bambina ma anche il senso stesso della scrittura e lo scopo della narrazione che è di indagare l’animo umano al fine di diventare un individuo completo, capace di muoversi nel mondo in equilibrio con sé stessi e con la realtà che lo circonda.
Tu, l’hai letto? Come ti è sembrato?
Autore: Clarissa Pinkola Estés
Titolo: Donne che corrono coi lupi
Titolo Originale: Whomen Who Run with the Wolves
Traduzione: Maura Pitzorno
Casa Editrice: Frassinelli
Collana: Numeri Primi
Pagine: 571
Anno di pubblicazione: marzo 2011
Prezzo di copertina: € 14
Photo Credits: immagine in evidenza via Pixabay
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