Come ho spiegato in Scrittura Creativa, scrivere non è cosa semplice e richiede molto esercizio e costanza. Tuttavia, da qualche parte si dovrà pur cominciare e per questo motivo dedicherò un post al mese ai miei racconti.
Quando si scrive non ci si sente mai pronti per divulgare i testi elaborati perché, almeno per me, c’è sempre qualcosa da modificare, sistemare, riadattare. Tuttavia non posso migliorare se continuo a chiudere in un cassetto i miei esercizi di scrittura e quindi, banditi patemi e reticenze, ecco il primo lavoro, l’Incipit da mettere alla prova. Buona lettura! 🙂
Pausa racconto: Incipit
Si sa che il bianco è la somma di tutti i colori e che basta sceglierne uno per dare un senso a se stessi.
“Sì… ma come?” si domandò lo scrittore. Seduto alla scrivania, teneva la penna a mezz’aria e il braccio, leggermente alzato, era parallelo al piano di lavoro, ingombro di libri. Teneva gli occhi chiusi e rivolgeva il viso alla sua destra, verso i raggi del sole che filtravano dalle tende bianche della finestra illuminando lo studio. Una posa plastica che ricercava la tanto agognata ispirazione.
Aprì gli occhi e rivolse lo sguardo alla punta della sua penna stilografica preferita.
“Potrei narrare il rosso. Una storia d’amore appassionato. Una storia con ostacoli e prove da superare, di draghi feroci e principesse addormentate. Di impavidi cavalieri. Un sunto che trovi risposta alle domande e ai dubbi che sorgono quando si prova tale sentimento. Posso farlo!” pensò apparentemente convinto.
Lo scrittore guardò la penna. Nulla accadde. La sua mano impugnava con grazia e correttezza la pregiata stilografica. Doveva solo poggiarne la punta sul foglio e, con un gesto delicato e quasi impercettibile del polso, vergare l’incipit migliore di tutti i tempi. Nulla da fare. Lo scrittore guardava la penna. La penna guardava lui.
“Va bene” rifletté “Forse il rosso e l’amore appassionato sono temi un po’ troppo complicati per il momento”. Si aggiustò la giacchetta marrone con le toppe sui gomiti, sorseggiò un po’ del suo vino preferito e si accese una sigaretta. Doveva pensare a qualcosa di meglio. La mano destra, immobile, teneva la penna adagiata sul fianco del medio, stretta tra pollice e indice, in attesa. La sinistra avvicinava il filtro alle labbra, ferite dal continuo rimuginare del suo cervello. Aspirò. Il tabacco bruciato si trasformò in volute grigie che si dispersero nella stanza attaccandosi alle bianche tende della finestra da cui filtrava la luce del sole. Anche ciò che è effimero lascia il segno, ma che sia un bene o un male rimane tutto da decidere.
“Potrei parlare del grigio, dell’incertezza e dell’ignoto” pensò ancora, perso ad osservare la nuvoletta di fumo che lo avvolgeva. Guardò la penna, la penna continuava a farsi gli affari suoi.
“Maledetto foglio bianco!” sbraitò lo scrittore. La penna non era più impugnata con consumata eleganza ma soffocava nella stretta rabbiosa di una mano chiusa a pugno. Ora lo strumento di scrittura pareva più un coltellaccio da cucina nelle mani di uno psicopatico. Lo scrittore alzò il braccio che planò con forza sul malcapitato foglio bianco. L’impatto fu così violento che la punta della stilografica si accartocciò su se stessa e creò una voragine sul supporto dalla quale si espanse una grossa macchia d’inchiostro. Sangue nero colava copiosa dall’arma del delitto. L’artefice del danno osservava impietrito.
“Anche il nero è la somma di tutti i colori…” commentò una voce calma e femminile alle spalle dell’attonito autore.
Richiamata dall’urlo del marito, la moglie aveva abbandonato i suoi lavori domestici e, silenziosa, aveva varcato la porta dello studio. Si era accostata alle spalle del consorte chino sull’economica scrivania di plastica e truciolato. Alcuni libri erano scivolati e giacevano inerti sul pavimento, ai lati del tavolo. La donna, prima di raccoglierli, aveva allungato il collo e, spinta dalla curiosità, stava osservando il disastro che avrebbe poi ripulito con pazienza.
L’uomo si riscosse dal suo stato di trance, si voltò di scatto, guardò gli occhi scuri di lei e le occhiaie che le solcavano il volto. Fissò quella presenza costante nella sua vita. Una presenza che a volte avrebbe voluto rinchiudere in qualche stanza. Una presenza che avrebbe voluto dimenticare. La odiava e la amava allo stesso tempo. In quel frangente l’ago pendeva per il primo sentimento.
“Taci!” intimò rabbioso e, indignato, aggiunse: “Io sto creando!”
A sua volta lei non poté fare a meno di concentrarsi sugli occhi chiari del consorte, incupiti dall’inquietudine. Ristudiò i lineamenti di quello che lei considerava un volto carismatico. Un viso in cui, a volte, si rispecchiava. Perché quando lui la vedeva veramente, si sentiva tornare alla luce. Se ciò non avveniva non restava altro che l’abbandono. Tuttavia era una buona moglie e mai l’avrebbe lasciato. Non poteva. Queste considerazioni non le impedirono di rispondere un biascicato: “sé…” Mentre un lampo divertito attraversava i suoi intensi occhi scuri, incorniciati dall’arco perfetto delle sopracciglia.
Lo scrittore rimase allibito da quella che lui riteneva un’impudenza:
“Io sto creando. Sto lavorando per lasciare qualcosa di significativo agli altri. Io osservo, io scrivo, io creo, io vivo.”
La moglie rimase impassibile. La luce del sole che filtrava dalle tende bianche della finestra rimbalzava sui lunghi ricci di lei rendendoli lucidi come grafite.
“Sé…” biascicò ancora “e io raccolgo, conservo, custodisco, ordino e pulisco tutto quello che tu osservi, scrivi e crei quando e se vivi”. Detto questo alzò le spalle, depose i libri raccolti sulle gambe del marito e, con passo regale, abbandonò la stanza. La porta si chiuse con un lento cigolio, un suono stridulo e fastidioso, come il senso di colpa.
Lo scrittore posò i libri sulla scrivania, in parte al foglio bianco. La macchia d’inchiostro si era allargata, in alcuni punti spuntava qualche isola bianca che pian piano rimpiccioliva sempre più, inghiottita da un opaco mare nero. Cercò, con le dita, di salvare quei piccoli barlumi di candore ma peggiorò la situazione. L’inchiostro si stava scavando la via attraverso le pieghe dei suoi palmi.
“Ho fatto un massacro” mormorò l’uomo e pianse. A quelle lacrime la penna rispose ruotando verso la porta la sua punta distrutta. Lo scrittore osservò, per un attimo, i libri e le carte raccolte. Quante volte li aveva letti con la sua compagna e quanto, entrambi, si erano emozionati per la vita che prepotentemente fuoriusciva da essi? Su quelle pagine scritte e riscritte la coppia aveva riso, pianto, fatto l’amore. Capì l’intento della penna, doveva tornare da sua moglie e sapeva dove trovarla. Percorse il corridoio senza degnare di uno sguardo i quadri che ricoprivano ogni centimetro quadrato delle pareti. Scese le scale che davano al pianterreno e passò oltre la porta d’ingresso composta da vetri di tutti i colori. Ponte tra ciò che è interno e ciò che è esterno. Scese altre scale fino a raggiungere la cantina. Anni prima, in quel seminterrato, aveva fatto costruire e arredare una stanzetta per sua moglie. Era un po’ buia, ma lei aveva tappezzato i muri, il pavimento e il soffitto di tante piccole stelle fluorescenti. In questo modo aveva creato un angolo speciale e lui, colpito da una simile inventiva, si preoccupava di staccare quelle piccole luci e le portava per un po’ nel suo studio. Le stendeva sul tavolo, apriva le tende bianche e lasciava che venissero inondate dalla luce del sole. Le ricaricava. Infine le restituiva alla compagna e l’aiutava a riposizionarle in quella buia stanzetta. Pareva un luminoso e infinito cielo stellato raccolto in una stanza minuscola.
Aprì la porta e scoprì che molte di quelle stelle erano spente mentre altre brillavano fioche. Da tempo non venivano nutrite di luce. La moglie era seduta in un angolo, intenta a ricamare sotto il bagliore di un gruppetto di stelle ancora in perfetta forma. Gli occhi scuri della donna si alzarono posandosi sulla figura del marito, fermo sull’entrata. Con l’angoscia che gli stringeva lo stomaco, lui si graffiava il dorso delle mano tremanti e, rigirandosele, distribuiva l’inchiostro su ogni piega della pelle. Terrorizzato riuscì soltanto a chiedere:
“Possiamo parlare?”.
Alcune stelle ripresero luce e illuminarono il volto di lei. Era bellissima.
“Si” rispose.
Lui tirò un sospiro di sollievo, abbassò lo sguardo e si guardò i piedi, erano scalzi. Con le piante sentiva il rilievo delle stelle sul pavimento. Un calore piacevole gli percorse il corpo.
Chiuse la porta alle sue spalle.
Nel frattempo, nello studio dello scrittore, la punta della penna si ristabilì. Un raggio di sole la colse ed ella, danzando sui fogli tornati bianchi, cominciò a scrivere.
Photo Credits: immagine in evidenza via Pixabay
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